La coltivazione delle piante aromatiche e delle piante medicinali.
(Fonte: La coltivazione delle piante aromatiche e medicinali di Milesi Ferretti)
“A”
ACACIA (ROBINIA PSEADO-ACACIA L.)
Uso agricolo e medicinale
Albero americano da lungo tempo acclimatato in Europa e coltivato a scopo ornamentale e soprattutto per il consolidamento di scarpate. E’ pianta eminentemente nettarifera ed in primavera dà una abbondantissima fioritura costituita da lunghi racemi provvisti di numerosissimi fiori bianchi, profumatissimi. In erboristeria possono essere utilizzati i fiori, ma la richiesta è rarissima: tuttavia, dovendo effettuare la coltura per l’erboristeria, conviene servirsi di varietà di piccola taglia e soprattutto “inermi”, cioè senza spine, per rendere più facile la raccolta. La coltivazione dell’acacia, come combinazione dei fattori a) consolidamento terreno, b) produzione rapida di legname, c) produzione di miele ed altri prodotti dell’alveare ora molto ricercati (polline, pappa reale, ecc.) d) eventuale sfruttamento erboristico, può risultare conveniente; tenendo però presente che la raccolta manuale delle infiorescenze e la loro essicazione sono molto costose e di conseguenza occorre essere assolutamente certi del collocamento del prodotto prima di intraprendere la raccolta.
ACHILLEA (ACHILLEA MILLEFOLIUM L.)
Uso agricolo
Composita perenne di facilissima coltivazione; si adatta infatti a tutti i terreni; anche se asciutti, purché in posizione soleggiata.Si può riprodurre per divisione dei cespi oppure a mezzo di semina primaverile e successivo trapianto a dimora.
Si raccolgono le sommità fiorite o le piante intere, che si essiccano all’ombra; le pratiche culturali ed il trattamento del prodotto sono in tutto analoghi a quelli usati per l’Assenzio pontico.
Per ora nelle Marche la coltivazione è stata soltanto sperimentale, ma se la richiesta sarà maggiore ed i prezzi remunerativi, la coltivazione potrà essere ampliata, dato che non presenta alcuna difficoltà, essendo in tutto simile a quella di altre composite perenni.
ADONIDE (ADONIS VERNALIS L.)
Erba perenne dell’Europa centrale. Alcuni autori non l’ammettono fra le piante italiane; secondo altri invece sarebbe stata trovata nel Friuli; la droga in commercio è tutta importata. Alcuni anni fa è stata effettuata una piccola coltivazione sperimentale.
La semina è stata effettuata in vivaio a primavera; la nascita dei semi è risultata lunga e irregolare; si tiene la pianta in vivaio per parecchi mesi prima del trapianto in quanto lo sviluppo risulta assai lento. Per questa coltura dovrebbero prestarsi i terreni di fondo valle, freschi e leggeri, delle nostre montagne, ma per ora è stata abbandonata.
ADONIDI ANNUE (ADONIS AESTIVALIS L. E ADONIS AUTUMNALIS L.)
In passato vennero esperimenti di coltivazioni, in massima parte con l’Adonis autumnalis L., nell’azienda del prof. Aldo Brilli-Cattarini.
Dagli esperimenti sopra citati risulta che la pianta è di coltivazione relativamente facile e sembra adattarsi a tutti i terreni, preferendo tuttavia quelli piuttosto pesanti, sia calcarei che argillosi (Brilli).
La semina si effettua in autunno (fine settembre) su file distanti circa 25 cm e ponendo i semi a spaglio nei solchetti, il terreno deve essere stato lavorato abbondantemente, con particolare riguardo ai concimi azotati di cui la pianta sembra essere assai avida.
Le cure colturali consistono in qualche sarchiatura, scerbatura e nitratazione primaverili. Il raccolto si effettua quando la pianta è in piena fioritura (aprile-maggio) e l’essicazione si fa all’ombra.
Semina in semenzaio e successivo trapianto sembrano sconsigliabili perché ritardano lo sviluppo vegetativo della pianta e perché economicamente non convenienti. Non mi risulta che la richiesta del prodotto sia tale da consigliare la coltivazione, tuttavia è bene tener presente che l’uso dei diserbanti, specie nelle coltivazioni dei cereali, ha fatto quasi sparire questa pianta dalla nostra flora spontanea.
ALTEA (ALTHAEA OFFICINALIS L.)
Uso agricolo
Questa malvacea perenne è stata da me coltivata per alcuni anni, ma attualmente la coltura è stata abbandonata perché è risultata scarsamente conveniente dal punto di vista economico; essa potrebbe tuttavia essere nuovamente intrapresa qualora le condizioni del mercato lo consigliassero. L’altea richiede terreno umido, leggero, finemente lavorato e concimato abbondantemente.
La riproduzione si fa mediante semina in vivaio in primavera e successivo trapianto in autunno, oppure per divisione dei cespi di vecchie colture. La coltura dura in media due o tre anni, al termine dei quali si effettua il raccolto delle radici; nel primo e nel secondo anno invece si raccolgono le foglie ed i fiori; per l’essicazione delle radici si opera come per le radici di Belladonna, mentre per l’essiccazione delle foglie e dei fiori si opera come per la Balsamite o per la Camomilla romana. Mi risulta che in Abruzzo siano attualmente in corso coltivazioni di questa erba su piccole superfici.
ANETO (ANETHUM GRAVEOLENS L.)
Ombrellifera, annua, di cui ho effettuato coltivazioni sperimentali in passato con esito favorevole. La tecnica colturale è in tutto simile a quella dell’Anice verde.
Quando io effettuai questa coltura nelle Marche parecchi anni fa, essa risultò poco conveniente economicamente e fu pertanto abbandonata. Occorre infatti tener presente che le spese di coltivazione per questa pianta sono notevoli in quanto non si riesce mai ad avere una coltivazione del tutto priva delle numerose ombrellifere spontanee che si trovano nei nostri terreni; ciò costringe spesso al ricorso alla scerbatura effettuata a mano, che risulta assai costosa.
La raccolta meccanica e le successive operazioni di ventilazione e vagliatura del seme non presentano invece particolari difficoltà, sempre che si disponga del macchinario adatto. La mietitrebbiatura si effettua nel mese di agosto e il “seme” deve essere esposto al sole e rimosso frequentemente per ottenere una sollecita e completa essicazione. Non disponiamo di notizie attendibili circa l’andamento del mercato di questo prodotto e quindi non siamo in grado di consigliarne la coltivazione.
ANGELICA DI BOEMIA (ANGELICA ARCHANGELICA L.)
Uso medicinale
E’ pianta esotica (in Italia si trova sporadica nella zona alpina) largamente coltivata in Francia e nella zona dell’ex Cecoslovacchia per la radice ed i “semi” che hanno importanti applicazioni in liquoreria e farmacia. L’angelica richiede terreni freschi, leggeri ed irrigabili, abbondantemente concimati. La semina si fa in un semenzaio in piena terra nel mese di luglio usando semi appena raccolti (il seme di Angelica perde infatti la germinabilità dopo breve tempo); esso deve essere tenuto in acqua per due giorni prima della semina ed il semenzaio deve essere formato di terriccio ricco di humus, fresco ed esposto a mezz’ombra. Quando le piantine hanno raggiunto un sufficiente sviluppo (da 0,5 a 1 cm di diametro al colletto), sono pronte per essere messe a dimora.
Il trapianto si fa in autunno disponendo le piantine su file distanti 80 cm ed a 50 cm fra pianta e pianta, irrigando più volte sino a completo attecchimento. Durante l’inverno quasi tutte le piante perdono le foglie: nella primavera successiva si avrà grande sviluppo del fogliame ed occorrerà ricorrere ad abbondanti nitratazioni, frequenti sarchiature ed irrigazioni, che dovranno essere ripetute più volte durante i mesi estivi. Se la coltivazione è indirizzata alla produzione delle radici ne consiglio la raccolta nell’autunno nel primo anno, quando le piante cominciano a perdere le foglie. Data la stagione avanzata in cui avviene il raccolto (ottobre), si deve ricorrere per l’essiccazione al calore artificiale; le radici vanno prima spaccate in 2 o 4 pezzi e le radici terminali più sottili vengono avvolte intorno alle principali in forma di treccia. L’essiccazione è lunga e difficile perché la radice secca è igroscopica; lo stesso motivo; la droga è inoltre molto attaccata dalle muffe. Se la coltivazione è invece indirizzata verso la produzione del “seme”, occorre attendere per la raccolta l’estate successiva; la pianta infatti fiorisce nella primavera del secondo anno di coltivazione in campo. Le ombrelle si raccolgono quando il frutto non è ancora maturo ed ha colore verde, vengono poi essiccate, battute e vagliate; i semi destinati alla riproduzione debbono essere invece lasciati sulla pianta fino a completa maturazione. Alcuni autori consigliano di sfruttare la coltivazione per la produzione contemporanea della radice e dei “semi” e, ove ciò è possibile, questo deve essere senz’altro il miglior sistema di sfruttamento della coltura dell’Angelica; io però ho più volte constatato che dalla pianta, che ha fiorito e fruttificato si ricava un quantitativo minimo di radice, per giunta scadentissima come qualità, e ritengo quindi che la coltivazione debba essere indirizzata o verso la produzione della radice o verso la produzione del seme, non essendo praticamente possibile ottenere ambedue le produzioni contemporaneamente. La convenienza economica della coltura, almeno nelle nostre zone, mi spinge a consigliare senz’altro l’indirizzo “radice”, mentre l’indirizzo “seme” mi ha dato sempre dei risultati economicamente assai scarsi in quanto la produzione non compensa il troppo lungo periodo di permanenza della coltura in campo (circa 22 mesi).
Secondo altri autori, un altro cespite di utile di questa coltura sarebbe fornito dai piccioli delle foglie, che sono usati per la confezione di canditi: a me non è mai riuscito di collocare per questo scopo dei quantitativi di merce tali da poterne derivare un utile tangibile.
Ho provato anche ad effettuare la distillazione delle foglie per ricavarne essenza, ma il tenore di essenza di queste parti della pianta è troppo basso perché la distillazione risulti conveniente; l’essenza si ricava in percentuale soddisfacente solo dalle radici e dai frutti. L’Angelica di Boemia è attaccata da funghi microscopici specie nella tarda primavera, se la stagione decorre umida; gli attacchi danneggiano fortemente il fogliame, ma si combattono bene con irrorazioni appropriate. L’Angelica è pure vittima di numerosi parassiti animali fra cui primeggiano le larve di alcune mosche (Acidia heraclei); trattamenti preventivi in semenzaio, all’atto del trapianto e durante la coltura in campo, con vari prodotti hanno dato risultati soddisfacenti. Mi sembra però che questi parassiti attacchino in genere le piante che sono coltivate in terreni non adatti, non abbastanza ricchi e non sufficientemente freschi; se la pianta cresce in ambienti adatti, mi pare ne sia praticamente immune. Chi coltiva l’Angelica deve tener presente che i succhi di questa pianta sono caustici ed in alcuni individui possono provocare irritazioni notevoli alla pelle con gonfiore e forte prurito; il rimedio migliore contro tali inconvenienti, che colpiscono particolarmente le mani di coloro che sono addetti al taglio delle radici, è costituito da una accurata pulizia e frequenti lavaggi con acqua e sapone.
Nel caso i succhi d’Angelica venissero a contatto con organi delicati; come ad esempio gli occhi, si consigliano lavaggi abbondanti con acqua tiepida e l’immediato ricorso all’opera del medico.
ASSENZIO GENTILE (ARTEMISIA PONTICA L.)
Uso agricolo
L’Assenzio gentile non si trova in Italia allo stampo spontaneo, ma è largamente coltivato, specie nel Piemonte. E’ un’erba perenne di non grande sviluppo (35-50 cm di altezza) con numerosi fusti sottili ed assai ramificati; le foglie sono di colore grigiastro e ricoperte di una fitta peluria; esse hanno contorno triangolare e sono suddivise in lacinie sottilissime. Tutto ciò dà alla pianta una particolare leggerezza quasi evanescente di assai bell’effetto; da questo forse deriva la qualifica di gentile che le viene attribuita. L’Assenzio gentile ha il suo impiego principale in liquoreria, la sua essenza è pregiata e abbastanza richiesta. La riproduzione della pianta si fa per divisione dei cespi e per rizomi. Il terreno di coltivazione per l’Assenzio gentile deve essere soleggiato, ben esposto, in località non troppo elevata, riparato dai venti freddi, di composizione siliceo-calcarea ma non troppo argillosa; in collina sono da preferirsi i terreni con esposizione a levante o a mezzogiorno, possibilmente irrigabili, comunque freschi. La lavorazione del terreno deve essere effettuata con cura e ad una profondità di 35-40 cm, interrando abbondantemente letame in ragione di circa 300 q ad ettaro. Prima della piantagione si effettua una seconda lavorazione incorporando concimi azotati, fosfatici e potassici. La piantagione si effettua in autunno (ottobre-novembre) o in primavera assai presto (febbraio-marzo), aprendo solchi distanti circa 35 cm l’uno dall’altro e della profondità di circa 15 cm; nel fondo si mettono i cespi ed i rizomi senza soluzione di continuità e si ricopre con il terriccio spostato in precedenza per l’apertura dei solchi, in modo che le parti sotterranee della pianta finiscano col trovarsi alla profondità di 4-5 cm dal livello del terreno.
Qualora si preveda di irrigare l’appezzamento a scorrimento, occorre lasciare ogni 3-4 solchi un intervallo di 50-60 cm in cui far passare a suo tempo il solchetto per l’acqua d’irrigazione.
Bisogna tener presente che i rizomi soffrono molto se lasciati esposti all’aria e all’asciutto: occorre quindi che la piantagione sia fatta quando il terreno è fresco e venga effettuata sollecitamente; consiglio anche di rullare il terreno a piantagione avvenuta per far aderire bene la terra ai cespi ed ai rizomi. In primavera si effettuano 2 o 3 sarchiature accompagnate da leggere nitritazioni; in estate si irriga spesso. La raccolta dell’Assenzio gentile si fa recidendo la pianta alla base, quando essa è completamente fiorita (capolini decisamente dicolor giallo); il prodotto si porta subito alla distilleria per ottenere l’essenza, oppure si secca all’ombra se si vuol destinare la droga all’erboristeria.
Pur trattandosi di pianta perenne, non consiglio di tenere la coltivazione per più di un anno sullo stesso terreno, perché le piante accestiscono assai ed i rizomi formano uno spesso strato superficiale che rende difficili le operazioni colturali, meglio quindi coltivare questa pianta come annuale destinando ad essa nella rotazione il ruolo di coltura da rinnovo.
In condizioni normali di mercato la coltura dell’Assenzio gentile risulta economicamente conveniente sia per la produzione di droga secca che di essenza.
ASSENZIO MAGGIORE (ARTEMISIA ABSINTHIUM)
Uso agricolo
Si trova assai abbondante allo stato spontaneo anche nelle Marche in tutta la zona montana e submontana, in alcune aree copre notevoli estensioni soffocando ogni altra vegetazione.
Pur essendo il prodotto spontaneo assai abbondante, ritengo che la coltivazione di questa composita perenne, sui pendii scoscesi ed ovunque si abbiano terreni calcarei asciutti, sia consigliabile.
Gli esperimenti da me fatti mediante semina primaverile in semenzaio e successivo trapianto a dimora in autunno hanno dato sempre esito favorevole, perché la pianta si è dimostrata rusticissima; una volta impiantata, infatti, non richiede più alcuna cura all’infuori di qualche saltuaria sarchiatura o scerbatura.
Dell’Assenzio maggiore sono richieste la pianta essiccata e le sommità fiorite; le pratiche relative alla raccolta, all’essiccazione ed alla preparazione del prodotto sono in tutto analoghe a quelle seguite per la congenere Artemisia poetica L. Distillando la pianta in verde si ottiene in forte percentuale olio essenziale di colore rosso-bruno, dendo, di aroma bruciante; questa essenza è talvolta richiesta. La richiesta di sommità essiccate è notevole; la produzione interna si aggira sui 4000 kg.
ASSENZIO PONTICO (ARTEMISIA VALESIACA L.)
Uso agricolo
Pianta perenne di facile coltura, resistente alla siccità e adattabilissima ad ogni specie di terreno. Trattandosi di coltura perenne, che resta sullo stesso terreno 3 o 4 anni, questo deve essere lavorato nell’estate precedente a notevole profondità (45-50 cm) incorporando abbondante stallatico (oltre 400 q/ha); si lascia poi assolcato durante l’inverno, mentre in primavera si effettua una lavorazione superficiale con l’interramento di una abbondante e completa concimazione a base di sostanze naturali (5-6 q di perfosfato, 2 q di potassici, 2 q di azotati ad azione lenta); la stessa concimazione, con dosi più ridotte, si ripete anche negli anni successivi. L’Assenzio pontico si riproduce per seme, seminando direttamente a dimora in primavera (aprile) a 60-70 cm di distanza tra le file; la nascita è generalmente pronta e regolare. All’atto della nascita la pianta (che in seguito non conosce parassiti degni di nota al di fuori della Cuscuta) è attaccata da un piccolo coleottero che divora le foglioline cotiledonali facendo morire la piantina appena nata; occorre combattere subito questi attacchi con polverizzazioni di prodotti idonei; infatti l’insetto può in pochi giorni distuggere l’intera coltivazione, dando addirittura l’impressione che il seme non sia germinato. Per precauzione si consiglia di seminare sempre una piccola parte del seme in semenzaio, per poter disporre in maggio di piantine pronte per la sostituzione di eventuali fallanze. La raccolta si fa alla fine dell’estate, prima che la pianta sia entrata in piena fioritura; debbono essere ben formati i boccioli dei fiori, ma essi non debbono essere ancora aperti. Le piante si tagliano alla base e si seccano all’ombra e rapidamente in modo che la droga conservi inalterato il bel colore grigio-azzurro ed il forte, caratteristico aroma.
In commercio generalmente non è richiesta la pianta intera, ma soltanto la sommità, quindi il taglio con la falciatrice meccanica (possibilmente bilama) va effettuato a circa 10-15 cm da terra in modo da lasciare sul campo la parte legnosa inferiore della pianta; essa verrà eliminata con una successiva falciatura o addirittura con un trinciastocchi.
Il seme si ottiene lasciando le piante in campo fino ad ottobre avanzato talvolta fino a novembre; quando il seme appare ben formato si procede al taglio e all’essiccamento al calore artificiale; il seme si estrae per “battitura” e successiva ventilazione.
Come detto all’inizio, la coltura dell’Assenzio pontico dura in media 3-4 anni, dopodiché conviene toglierla perché il reddito diminuisce fortemente con l’invecchiamento delle piante; la produzione di sommità essiccate di una coltura in piena efficienza si aggira sui 6000-7000 kg/ha. Per distillazione della pianta fiorita allo stato verde ho ottenuto un’essenza dall’odore caratteristico, che però non mi risulta sia richiesta sul mercato essenziero in quantità degne di nota; ritengo però che questa essenza possa trovare delle interessanti applicazioni in sostituzione di essenze di maggior costo.
Le sommità essiccate sono usate in liquoreria e sono abbastanza richieste; sono quotate intorni alle 2000 lire il kg.
“B”
BALSAMITE ODOROSA (CHRYSANTHEMUM BALSAMITA L. VAR. TANACETOIDES NOB.)
Composita perenne che si riproduce per divisione dei cespi; facilmente coltivabile purché si disponga di terreni fertili, irrigabili e possibilmente sciolti.
La piantagione si fa in autunno (ottobre-novembre) dividendo i cespi provenienti da una precedente coltura, interrandoli in solchi distanti circa 60 cm fra loro e mettendo un cespo ogni 10 m circa; si richiude il solco in modo che rimangano circa 8 cm di terra al di sopra degli organi sotterranei della pinata così messi a dimora.
Prima della piantagione il terreno deve essere ben lavorato, con l’incorporazione di abbondante stallatico (300-350 q/ha) e di una concimazione a base di prodotti naturali completa (4-5 di perfosfato, 1 q di potassici, 1-1,5 q di solfato amminuco); dopo la piantagione, se la stagione decorre asciutta, è bene rullare leggermente.
Le cure colturali primaverili si riducono ad alcune scerbature e a 2-3 sarchiature (da farsi naturalmente solo quando la pianta ha ben germogliato, il che avviene a marzo) accompagnate da leggere nitritazioni. Durante l’estate si deve irrigare spesso, perché la Balsamite soffre molto la siccità. La coltura può essere tenuta sullo stesso terreno 2-3 anni senza essere rimossa; occorre soltanto procedere ad accurate fresature fra le file, accompagnate da una completa concimazione base di estratti vegetali.
Della Balsamite sono normalmente richieste le sole foglie essiccate e l’essenza; le prime si ottengono in tagli successivi, rendendo le foglie basali al suolo e lasciando poi essiccare all’ombra in strati sottili (servono ottimamente allo scopo gli stendaggi usati per il fiore di Camomilla romana); mentre la seconda si estrae generalmente dall’intera pianta fiorita.
Le foglie di Balsamite, essiccate come sopra detto, vanno a lungo stagionate in locale asciutto rimuovendole spesso: il prodotto è infatti assai igroscopico ed è quindi soggetto ad alterarsi; dopo la stagionatura si procede ad una accurata cernita per togliere le foglie che abbiano assunto un colore bruno; il prodotto buono deve avere un colore verde-grigiastro ed un forte profumo.
Il migliore sistema di confezionamento è quello in grandi tele (bisacce) comprimendo non troppo fortemente.
La distillazione della pianta fiorita fresca si fa in corrente di vapore; la pianta va tagliata al mattino presto e portata subito alla distilleria tenendola ammucchiata per il più breve tempo possibile perché si riscalda con enorme facilità; la distillazione fornisce un’essenza di colore paglierino di odore gratissimo; la resa in essenza però è molto bassa (0,30-0,50).
La Balsamite è attaccata da un fungo simile alla peronospora; rimedio contro questa crittogama è la scelta dell’esposizione della coltura, che deve essere in luogo solatio e soprattutto ventilato; anche qualche trattamento leggero con anticrittogamici non è da sconsigliare, ma bisogna poi che all’atto della raccolta sia sparita la pur minima traccia del trattamento sulle foglie, il che si ottiene solo con abbondanti irrigazioni a pioggia.
Poiché l’attacco del fungo di cui sopra produce danni gravi e spesso conduce alla perdita dell’ultimo raccolto autunnale di foglie, si è cercato di selezionare le piante più resistenti alle malattie, ma finora l’esito della selezione non ha dato i risultati sperati. La droga secca trova applicazione in medicina, l’essenza è usata in profumeria; dal punto di vista economico la coltura della Balsamite odorosa, sempre che si disponga di terreni adatti e di idonei locali di essiccazione, risulta conveniente.
BARDANA (ARCTIUM LAPPA L.)
Sebbene la pianta allo stato spontaneo sia abbastanza comune e spesso abbondante , tuttavia la richiesta della radice, che in taluni anni è piuttosto notevole, mi ha spinto a tentare la coltivazione sperimentale di questa composita. Gli esperimenti effettuati finora hanno in massima parte confermato quanto già noto circa la coltivazione della Bardana.
Il terreno deve essere fresco, profondo, permeabile; lavorato profondamente ed abbondantemente concimato.
Le cure colturali e le varie operazioni per la preparazione della radice essiccata sono in tutto analoghe a quelle seguite per l’Enula campana.
Se la coltivazione è eseguita razionalmente e se non si fa mancare l’acqua alla pianta nella stagione calda, la raccolta delle radici si può eseguire nell’autunno-inverno successivo alla semina; l’essiccazione, data la stagione avanzata, si fa, naturalmente, al calore artificiale. Attualmente la richiesta è notevole ed i prezzi spuntati consentono un reddito soddisfacente.
BASILICO (OCIMUM BASILICUM L.)
Questa labiata annuale è molto esigente in fatto di terreno, clima e cure colturali; la sua coltura è stata quindi sempre assai limitata nelle Marche.
Per quanto riguarda il terreno, il Basilico richiede terreni leggeri, freschi, irrigabili e ricchi di sostanza organica; le concimazioni a base di estratti naturali debbono essere abbondantissime ed a base particolarmente di concimi organici ed azotati sia prima dell’impianto (stallatico), sia durante la coltivazione.
Circa il clima, è da tener presente che il Basilico, pianta originaria dei paesi caldi (Africa e India), teme assai il freddo e quindi deve essere coltivato soltanto in località nelle quali non si abbiano a temere gelate tardive.
La riproduzione si fa per seme direttamente a dimora, seminando in aprile maggio alla distanza di 60 cm e mettendo il seme in modo che le piante distino fra loro 10 cm circa; quando la pianta ha emesso almeno 4 foglie, si dirada lasciando una o due piante ogni posta e, se occorre, procedendo frattanto ad una leggera sarchiatura accompagnata da nitritazione. All’inizio della fioritura, che corrisponde con il momento balsamico, si falcia la pianta al piede, portandola suibito in distilleria o all’essiccatoio, evitando accuratamente anche il minimo inizio di cottura del prodotto verde.
Per l’erboristeria è generalmente richiesto il prodotto “fiori e foglie sgranate”, che si ottiene facilmente facendo essiccare il Basilico in locale ventilato e successivamente segnalandolo e vagliandolo.
La distillazione dell’essenza, da me effettuata più volte, ha dato sempre esito poco soddisfacente per quanto riguarda la resa quantitativa. Attualmente nelle Marche il Basilico viene coltivato per l’utilizzazione allo stato verde da parte di industrie porduttrici di surgelati.
BELLADONNA (ATROPA BELLADONNA L.)
La Belladonna era molto usata in farmacia per le sue proprietà antispasmodiche, antisecretive e midriatiche, nonché per la cura del parkinsonismo postencefaltico; le proprietà sono dovute ad un complesso di alcaloidi, del gruppo dell’atropina, contenuti in tutte le parti della pianta (radici, fusti, foglie e frutto).
Questa pianta si trova spontanea nella zona montuosa delle Marche (in particolare sui Monti Sibillini nella zona del faggio), ma in quantità tali da non consentire un adeguato sfruttamento erboristico; la sua coltivazione ha avuto invece una certa diffusione nella zona collinare. Tengo innanzitutto a precisare che la coltura della Belladonna, da me seguita con particolare interesse, mi ha sempre dato delle notevoli soddisfazioni in quanto sono riuscito (mediante la selezione dei soggetti coltivati, la scelta appropriata dei terreni, la concimazione razionale e mediante i più svariati accorgimenti tecnici nelle operazioni di essiccazione e stagionatura) ad ottenere un prodotto il cui contenuto in alcaloidi totali è non solo di gran lunga superiore a quello delle piante spontanee, ma altresì, per quanto mi risulta, a quello della maggior parte della produzione normalmente sul mercato.
Vari sono i sistemi di riproduzione che si possono adottare per la Belladonna (divisione dei cespi, rizomi, polloni), ma il sistema migliore è quello della riproduzione per seme e precisamente per semina in letto caldo coperto con vetri nei mesi di gennaio e febbraio, ottenendo così una germinazione pronta e regolare nonché uno sviluppo molto rapido delle piantine, che possono essere messe a dimora entro il mese di aprile. Si tenga presente che la Belladonna può subire durante la permanenza in letto caldo la cosìddetta “peste dei semenzai”, malattia assai difficile da combattere, ma che è possibile prevenire con l’accurata disinfezione di tutte le parti del semenzaio, con la sterilizzazione a caldo del terriccio, con l’uso di acqua pulita, ecc.
I semenzai con vetri possono anche essere sostituiti con semenzai coprenti da garza, ricopribili durante la notte con stuoie di tela di cocco.
Il terreno per la coltivazione della Belladonna deve essere fresco, meglio se posto in modo che la coltivazione sia ripartita dall’ombra di piante di alto fusto almeno per una parte del giorno. La terra deve essere lavorata profondamente con incorporazione di abbondante letame, molto utile riuscirà anche lo spargimento di concimi liquidi.
Le piantine si mettono a dimora da aprile (dopo aver proceduto ad una seconda lavorazione superficiale del terreno ed alla incorporazione di perfosfato da 6 q., urea 2 q e concimi potassici 2 q a ha) adottando in linea generale una distanza di almeno 60-80 cm fra pianta e pianta.
L’attecchimento non è facile e le piantine vanno annaffiate spesso e protette dalle lumache ; le eventuali fallanze vanno subito sostituite; quando le piantine hanno attecchito si sarchia accuratamente incorporando nitrati in piccole quantità; le nitratazioni vanno ripetute più volte. Una coltivazione di Belladonna dura in media 3-4 anni e dà due raccolti di pianta fin dal primo anno, dal secondo anno in poi anche tre; le piante vanno raccolte in periodo balsamico, ossia in piena fioritura, quando ancora i frutti derivati dai primi fiori non sono maturi.
La raccolta si fa al mattino, aspettando però che la pianta sia completamente asciutta; le piante tagliate si lasciano sparse sul campo, rimuovendole spesso, fino a sera; si portano poi in essiccatoi ad aria libera. Raramente sono richieste anche le sole foglie; si raccolgono allora quelle basali che vengono essiccate all’ombra. La stagionalità deve iniziarsi non appena la pianta è essiccata, in quanto una permanenza più lunga negli essiccatoi è decisamente dannosa al contenuto in principi attivi della droga. Pertanto con il prodotto si costituiscono le massette in locale fresco e asciutto; le masse vanno sorvegliate affinché non si riscaldino.Dopo almeno un mese di stagionatura il prodotto è pronto per essere confezionato in balle pressate; prima della confezione in balle si opera la cernita per scartare le parti eventualmente deteriorate. Durante l’inverno il terreno va ricoperto con letame o foglie per impedire i danni del gelo, in primavera poi si freserà interrando il letame o le foglie insieme ad una completa concimazione a base di estratti naturali.La radice si raccoglie alla fine della coltura (in agosto-settembre) e si essicca al sole dopo averla affettata; è bene separare i pezzi grossi regolari da quelli irregolari e dai pezzi piccoli, avendo le varie qualità valore diverso.
La produzione di una coltura di Belladonna varia molto a seconda della natura del terreno, delle cure colturali e dell’andamento stagionale; comunque la coltivazione, se ben fatta, è tra le più redditizie.
Io coltivo generalmente la Belladonna nella varietà lutea, cioè a fiori gialli, essendo più ricca di principi attivi e quindi più quotata sul mercato.
Bisogna tenere presente che la Belladonna è velenosa per l’uomo (polli e conigli la mangiano invece impunemente); particolarmente pericolose sono le bacche, che possono venire ingerite dai bambini per il loro aspetto attraente ed il sapore dolciastro; l’avvelenamento da bacche di Belladonna può causare disturbi gravissimi e anche la morte.
Il coltivatore dovrà quindi recingere le proprie colture, apporvi ben visibili scritte con la dicitura “piante velenose”, avvisare le maestre, i parroci, e le organizzazioni dei lavoratori ed in particolare i vicini; effettuando la raccolta al momento adatto, si evita anche di avere nella coltura i pericolosi frutti maturi.Rimedi immediati contro l’avvelenamento da atropina sono la somministrazione di caffè e liquori; occorre però chiamare subito il medico e nell’attesa del suo arrivo cercare di far vomitare l’avvelenato. La richiesta della Belladonna da parte dell’industria farmaceutica è diventata in questi ultimi anni pressoché nulla; infatti, in molti preparati la Belladonna è stata sostituita con varie specie di Datura, piante contenenti principi attivi simili alla Belladonna, ma assai più tollerabili da parte dell’uomo. Per questo motivo la coltivazione della Belladonna è ora pressoché abbandonata.
BIANCOSPINO (CRATAEGUS OXYACANTHA L.)
E’ la ben nota rosacea coltivata come arbusto e talvolta come alberello per la costituzione di siepi: queste siepi però vanno sparendo, perché costituiscono un luogo di riproduzione ideale per alcuni parassiti di piante fruttifere. E’ quindi da prevedere che in breve si dovrà ricorrere alla coltivazione del Biancospino in zone ove non siano coltivati i fruttiferi.
Resterà sempre il problema della difesa della pianta dai parassiti, ma a ciò si potrà procedere con trattamenti fatti in epoca opportuna e lontano dal periodo di raccolta dei fiori.
I fiori di Biancospino si ottengono raccogliendo i corimbi all’inizio della fioritura e si essiccano all’ombra perché si deteriorano con grande facilità. Il prodotto è molto richiesto in erboristeria e dall’industria farmaceutica.
BORRAGINE (BORRAGO OFFICINALIS L.)
A causa della diffusione e dell’abbondanza di questa pianta allo stato spontaneo e delle conseguenti quotazioni normalmente basse della droga sul mercato, la coltivazione della Borragine è in linea di massima sconsigliabile. Tuttavia in qualche anno di particolare scarsezza del prodotto spontaneo ho effettuato delle coltivazioni, limitate però a superfici relativamente esigue.
Data la brevità del ciclo colturale e data altresì la caratteristica della Borragine di sviluppare rapidamente durante l’inverno, almeno nel nostro clima, è conveniente usare questa coltura come intercalare fra quella del frumento e la successiva sarchiatura.
Dopo un’adeguata preparazione del terreno ed una concimazioni completa, si semina nel mese di settembre su file distanti circa 50 cm fra loro, usando una buona seminatrice di precisione e seminando circa 10-12 kg/ha di seme, si ottengono piantine distanti fra loro 5-6 cm, cioè un giustio investimento del terreno. Prima del sopraggiungere dell’inverno si sarchia il terreno e si dirada ove le piantine risultassero troppo fitte. La fioritura ha luogo in aprile-maggio e si raccolgono le sommità fiorite, che debbono essere essiccate rapidamente.
Se la stagione ha andamento normale, la coltura può essere tolta verso la metà di maggio ed il terreno utilizzato per l’impianto di una normale sarchiata (mais, soia, ecc.). Notevole è l’interesse della coltura della Borragine dal punto di vista apistico: infatti questa fioritura per la sua precocità, per l’abbondanza e la continuità della secrezione nettarifera è veramente ottima per stimolare lo sviluppo primaverile degli alveari; i miei più affezionati coltivatori di Borragine li ho infatti sempre trovati fra gli apicoltori.
Per ottenere un prodotto di ottima qualità si consiglia di ricorrere alla semina primaverile; infatti il raccolto più tardivo (giugno-luglio) fornisce sommità fiorite meno ricche di acqua e quindi più facilmente essiccabili; il minore sviluppo della pianta rende inoltre possibile il taglio meccanico, con notevolissimo risparmio di manodopera.
BORSA PASTORE (CAPSELLA BURSA-PASTORIS MED.)
La pianta è una piccola crucifera annuale comunissima e diffusa in tutta Italia. La coltivazione non presenta alcuna difficoltà in quanto la pianta si adatta a tutti i terreni; nella rotazione prende il posto della sarchiata subito dopo il frumento. Il terreno deve essere lavorato in luglio, subito dopo la raccolta del frumento, in modo che possa essere raffinato e preparato per la semina ai primi di settembre. La concimazione, a base di sostanze naturali, è simile a quella usata per le altre crucifere (Rapa, Ravazzone, ecc.), deve cioè contenere fosforo, azoto, potassio e soprattutto zolfo; per questo è bene somministrare l’azoto ed il potassio sotto forma di solfati.
Nella nostra regione ed in terreni ben esposti, al riparo dai venti freddi, è consigliabile la semina autunnale in modo che le piante formino prima dell’inverno una rosetta di foglie, che possono resistere ottimamente ai geli; in questo modo si ha un precoce sviluppo primaverile della coltivazione ed il raccolto in giugno; ove invece si abbiano a temere forti freddi invernali alcuni consigliano la semina primaverile; ritengo però che in tal modo si abbia uno sviluppo inferiore della pianta ed un raccolto decisamente più tardivo.
La semina si effettua con una buona seminatrice alla distanza di circa 34-40 cm per permettere una sarchiatura meccanica alla fine dell’inverno; appena seminato, il terreno deve essere rullato.
Si usa la pianta intera, falciata alla fioritura ed essiccata all’ombra. La richiesta del mercato è debole e quindi questa coltivazione va effettuata solo se si ha la certezza del collocamento del prodotto.
“C”
CALENDULA (CALENDULA OFFICINALIS L.)
Pianta perenne normalmente coltivata come annuale per la produzione dei capolini, impropriamente detti “fiori”. E’ preferibile coltivare varietà orticole e grandi fiori stradoppi di intenso colore arancione; va data la preferenza alle varietà che presentino una fioritura continuata dalla primavera ai geli. Si semina in semenzaio in piena terra in agosto-settembre e si trapianta a dimora in ottobre-novembre. Il terreno deve essere fertile, leggero, abbondantemente concimato con concimi organici e minerali, finemente lavorato e possibilmente irrigabile.
La piantagione si fa su file abbinate distanti 25-30 cm, lasciando un intervallo di 0-70 cm fra ogni coppia di file per permettere il passaggio delle raccoglitrici.
La fioritura ha inizio in marzo-aprile e si protrae ininterrottamente fino ai geli; i “fiori” si raccolgono a mano senza peduncolo e si essiccano all’ombra su graticci; la droga secca si fa poi stagionare a lungo in locali asciutti ed oscuri; insisto sul fatto che i locali debbono essere oscuri perché la Calendula perde con enorme facilità il suo bel colore arancione e l’odore caratteristico; una droga decolorata e poco odorosa è praticamente inutilizzabile.
I capolini della Calendula sono attaccati fortemente, sia sulla pianta che nei magazzini, da una larva di colore verde, che non sono riuscito a identificare esattamente; il parassita si combatte durante vegetazione con prodotti a base di piretro; se l’attacco si ripete in magazzino si dovrà ricorrere alla disinfestazione con prodotti volatili ed innocui, come per tanti altri prodotti erboristici.
Il prodotto ben essiccato e stagionato si confeziona in bisacce pressate e si conserva in locali asciutti. Il reddito della coltivazione è, in condizioni normali di mercato, abbastanza soddisfacente; occorre però tenere presente che il consumo di questa droga è assai limitato e di conseguenza non è consigliabile intraprendere la coltura, se non si è certi del collocamento del prodotto. Da quanto ci risulta, la richiesta della Calendula è in aumento ed il prodotto è usato per la confezione di pomate dermatologiche.
CAMOMILLA COMUNE (MATRICARIA CHAMIMILLA L.)
Nonostante la Camomilla si trovi in abbondanza in tutta Italia allo stato spontaneo e sia raccolta su vasta scala in molte regioni, non escluse le Marche, ho ritenuto opportuno tentare la coltivazione di questa specie. E’ infatti noto che la droga proveniente dalla raccolta di piante spontanee lascia in genere a desiderare dal punto di vista qualitativo ed è comunque di gran lunga inferiore al famoso prodotto ungherese proveniente da coltivazione. Così negli anni ’50 cominciai i primi esperimenti di coltivazione, che purtroppo furono assai deludenti.
In principio seguii infatti le indicazioni fornite dai sacri testi, indicazioni che però evidentemente non erano applicabili ai nostri climi ed ai nostri terreni.
Provai la semina diretta primaverile in campo sia precoce che tardiva, ma le piante soffrivano assai per la siccità, fiorivano tardi e davano una produzione scarsissima ed irregolare.
Tentai anche la semina autunnale, ma spesso le piantine non resistevano ai geli invernali, e comunque insieme alla Camomilla si svilupparono numerosissime piante infestanti, che richiesero molteplici scerbature, che furono effettuate a mano con rilevante spesa. Alla fine mi decisi per la semina in semenzaio a fine agosto e successivo trapianto in autunno-inverno, con trapiantatrice meccanica. Rispetto alla semina diretta, che aveva dato gli esiti sopra citati, in questo modo ottenni i seguenti vantaggi:
a) Non si ebbero più le perdite dovute ai geli, che si avevano con le semine autunnali.
b) Non si ebbero le fallanze verificatesi con le semine primaverili;
c) Si ebbe un regolare e contemporaneo sviluppo delle piante;
d) Si ebbe infine, e ciò è essenziale per la raccolta, la fioritura simultanea a maggio di tutte le piante.
Lo sviluppo rapido ed assai notevole della pianta così coltivata richiede necessariamente un terreno ben concimato con concimi organici all’impianto e con molto azoto in parecchie volte in copertura; le sarchiature sono necessarie solo all’inizio perché poi la pianta ricopre completamente il terreno soffocando ogni altra vegetazione. Non ho mai capito perché molti autori consiglino arature profonde per la Camomilla; a me sembra che la coltura sviluppi molto meglio operando con arature in superficie; la pianta infatti ha un apparato radicale molto ricco, ma assai superficiale; basilare invece è risultata la compressione del terreno all’atto della semina in semenzaio, perché per nascere la Camomilla ha bisogno di un terreno molto compatto. Nella rotazione, la Camomilla occupa il posto della sarchiatura ma, dato che si raccoglie assai presto (maggio), permette una successiva coltivazione (ad es. Mais).
La raccolta si effettua tagliando la pianta alla base e si porta subito al posto di lavorazione, avendo l’avvertenza di non rimescolare il prodotto, che deve essere presentato alle macchine selezionatrici con i capolini tutti rivolti dalla stessa parte per rendere il lavoro più sollecito.Le macchine, consistenti in pettini ruotanti ed in successivi vagli, separano i capolini dai fusti e successivamente i capolini sani da quelli che, durante la lavorazione, si sono seccati con il peduncolo troppo lungo su telai o graticci, che debbono essere messi al riparo o comunque ricoperti di notte ed in caso di pioggia.
Quando la raccolta viene effettuata nel momento esatto (se la raccolta è precoce la macchina stacca insieme ai capolini anche le foglie più alte, se è fatta in ritardo molti capolini troppo maturi si polverizzano) e l’essiccazione è rapida, si ottiene una forte percentuale di “bottoni” che sono il prodotto più quotato. Il prodotto di seconda scelta viene passato, dopo essiccato, ad una seconda macchina che effettua la separazione dei fiori gialli, che costituiscono la “camomilla setacciata”, molto usata per la confezione di camomilla “espresso”. Dopo una breve stagionatura il prodotto viene confezionato in scatoloni di cartone per i bottoni ed in grossi sacchi di tela spessa per la setacciata. Una buona coltivazione di Camomilla comune dà oltre 10 quintali di prodotto secco fra bottoni e setacciata; se i prezzi sono convenienti la resa è ottima, ma occorre tener presente che l’impiego di manodopera è assai rilevante. Attualmente, da quanto ci risulta, la pianta, che ora ha cambiato denominazione, assumendo quella di Camomilla recutita (L.), Rauschert, viene coltivata in Abruzzo, Umbria e Puglia; la coltivazione è completamente meccanizzata ed il prodotto delle colture viene lavorato in stabilimenti industriali.
Non siamo in grado di illustrare il funzionamento di questi impianti industriali; agli agricoltori, che hanno la fortuna di lavorare in zone prossime alle fabbriche, consigliano di prendere i necessari contatti per poter effettuare la coltivazione di Camomilla recutita, che riteniamo possa senz’altro risultare conveniente; ci auguriamo che anche nelle Marche possa nascere un’iniziativa di questo tipo.
CAMOMILLA ROMANA
La coltivazione della Camomilla è fra le colture officinali e, posso aggiungere, fra tutte le colture effettuabili nelle nostre zone, quella suscettibile di dare maggiore reddito.
Questa coltivazione richiede, oltre a particolari qualità di terreno e di positura, una quantità notevolissima di mano d’opera, specie per la raccolta del fiore; dovrà perciò essere coltivata in appezzamenti molto limitati in superficie, a meno che non si ricorra a mano d’opera salariata. La Camomilla romana richiede altresì una notevole attrezzatura, con essiccatoi speciali e di notevole ampiezza; non è quindi una coltivazione che può essere fatta da tutti, ma soltanto da aziende all’uopo attrezzate.Altra difficoltà relativa a questa coltura è data dal collocamento del prodotto la cui richiesta è sempre limitata; d’altra parte una produzione superiore ai bisogni comporterebbe una eccedenza sul mercato con relativo ribasso dei prezzi. Per questo occorre coltivare solo dietro prenotazione dell’acquirente, onde non incorrere nel rischio di trovarsi con rimanenze di prodotto, che si sarebbe poi costretti a vendere sotto costo o che non si riuscirebbe a vendere affatto; è quindi nell’interesse di tutti i coltivatori mantenere questa coltura nei giusti limiti di espansione.E vengo ora a trattare delle pratiche colturali, che debbono essere scrupolosamente seguite, pena l’insuccesso parziale o talvolta completo della coltura.Innanzitutto bisogna tenere presente che la Camomilla romana, quale noi la coltiviamo, è una varietà orticola ottenuta per lunga selezione; infatti il capolino della Camomilla romana coltivata è stradoppio e formato dalle sole ligule bianche, mentre nella forma tipica il capolini è a centro giallo.
La varietà coltivata è sterile e per la riproduzione si ricorre quindi alle numerose piantine che ogni pianta sviluppa intorno a sé per mezzo degli stoloni.
Ho notato che, con il ripetersi della coltura, molte piante tendono a dare “fiori” con il centro giallo e, poiché questi fiori danno una droga più scadente, è bene ogni anno scegliere accuratamente le piante da riprodurre selezionando quelle che presentano il capolino perfettamente bianco. Non so ancora però con certezza se questa scelta dei soggetti riproduttori sia sufficiente ad evitare l’inconveniente di cui sopra. Infatti, da prove effettuate, risulterebbe che, più che il soggetto da cui si sono prese le talee, influirebbe sulla comparsa dei fiori a centro giallo la qualità del terreno su cui le talee stesse vengono piantate; infatti talee provenienti da piante a fiore pieno danno in terreno fresco e fertile piante a fiore pieno ed in terreno arido e povero piante con capolini semidoppi.
Per la coltivazione della Camomilla romana sono quindi necessari terreni di medio impasto, freschi ed irrigabili; la posizione deve essere soleggiata, ventilata ed elevata; sono da escludersi i fondovalle perché il “fiore” soffre assai per la rugiada notturna. La lavorazione del terreno deve essere accurata ma superficiale (25-30 cm di profondità), perché questa pianta ha l’apparato radicale poco sviluppato e quindi è bene che l’acqua sia trattenuta in superficie. La concimazione deve essere abbondantissima sia in concimi organici (letame e liquami), sia in concimi a base di sostanze naturali; come minimo una coltura di Camomilla romana deve ricevere all’impianto 8 q di perfosfato, 3 q di urea, 3 q di potassici per Ea; in copertura 1 q di nitrato ammonito e 2 di nitrato calcio; le stesse concimazioni, ridotte a metà, debbono essere ripetute nel secondo anno di coltivazione; è inutile pretendere alti redditi dalla camomilla se non si concima abbondantemente; speciale importanza hanno i concimi liquidi, che debbono essere dati anche durante la vegetazione della pianta (fertirrigazione).
La pianta è poliennale, ma conviene normalmente limitare la coltura a soli due anni sullo stesso terreno; nella rotazione si può far seguire alla Camomilla romana il frumento, il quale, date le abbondantissime concimazioni ricevute dalla camomilla, viene generalmente rigoglioso.
La piantagione si fa in autunno-inverno, ricavando le piantine necessarie da una vecchia coltura; le piante riproduttrici debbono essere state tagliate a livello del terreno opportunamente curate, in modo da risultare ben robuste, sane e accestite.
La disposizione da seguire varia a seconda del sistema di irrigazione adottato; quando si disponga di irrigazione a pioggia, si mettono le piantine in solchetti distanti 40-50 cm ed a 15 cm sulla fila; se invece l’irrigazione è a scorrimento conviene piantare su file accoppiate distanti 35-40 cm e con un intervallo di 70-75 cm fra ogni coppia; nell’intervallo lasciato viene fatta scorrere l’acqua.
A primavera la coltura va spesso sarchiata e debbono essere eseguite in più volte le nitratature. Se la stagione decorre asciutta occorre fin da ora irrigare abbondantemente, perché è in primavera che si mettono le basi di un buon raccolto; infatti solo piante ben accensite e sviluppate potranno dare in estate quell’abbondantissima fioritura che ha quasi del miracoloso e che si rinnova continuamente per oltre due mesi, dando all’appezzamento uno spettacolare colore bianco. Durante la fioritura non deve mai mancare alla pianta l’umidità necessaria al suo rigoglioso sviluppo, la mancanza d’umidità provoca un immediato arresto della fioritura e addirittura la sua fine, se non si provvede ad una sollecita irrigazione.
Le irrigazioni debbono essere abbondanti, ma ripetute il meno sovente possibile; infatti ogni irrigazione (specie se a pioggia) deteriora sempre i “fiori” completamente sbocciati; è perciò buona pratica procedere all’irrigazione soltanto subito dopo aver effettuato la raccolta dei capolini.La raccolta ha iniziato in generale verso la metà di giugno e prosegue ininterrottamente per tutto il mese di luglio a partire da quello di agosto; essa viene affidata a mano d’opera accuratamente addestrata e sorvegliata da personale specializzato. Questa operazione sta alla base del successo della coltura della Camomilla romana, in quanto una raccolta mal fatta porta ad un prodotto scadente e tal volta non vendibile; inoltre le spese di raccolta incidono assai fortemente sul reddito della coltura ed il coltivatore accorto deve fare in modo che esse siano contenute nei limiti giusti. Il fiore va raccolto quando è completamente aperto, ma non deve aver oltrepassato tale limite, perché il fiore raccolto anche leggermente appassito dopo essiccato, diventa bruno; anche i fiori raccolti troppo precocemente si alternano con l’essiccazione acquistando un colore verdognolo; da tutto ciò è facile comprendere quale sia l’importanza dell’addestramento della mano d’opera addetta alla raccolta. Nelle Marche, ed in particolare nel comune di Appignano, si era formata in passato dalla mano d’opera veramente capace, in grado di ottenere dalle colture un ottimo rendimento qualitaivo, e le colture si estendevano su cinque ettari circa.
La raccolta deve essere effettuata quando è scomparsa del tutto la rugiada notturna e proseguita fin verso il mezzogiorno; deve poi essere sospesa per le ore più calde e ripresa nel pomeriggio per durare fino al tramonto; essa va eseguita interamente a mano, raccogliendo capolino per capolino; la raccolta col pettine è, secondo me, da scartare perché non permette di ottenere il fiore ben sbocciato e regolare; le donne delle nostre zone riescono a raccogliere in una giornata di alvoro da 10 a 20 kg di fiore fresco, pur raccogliendo con la massima cura.
Le raccoglitrici sono munite di un sacchetto di tela che portano legato alla cintura e nel quale pongono il prodotto appena raccolto; non appena ne hanno pronto circa un chilo lo mettono dentro cesti di paglia cilindrici, che ogni raccoglitrice ha con sé; la permanenza nei cesti deve essere ridotta al minimo indispensabile ed il prodotto non deve essere compromesso perché con grandissima facilità si riscalda, diventando scuro. Nell’essiccatoio i “fiori” vanno disposti su telaini a fondo permeabile all’aria (tele possibilmente rade) ed in strato sottilissimo. Debbono essere poi continuamente rimossi fino a completa essiccazione; se il prodotto negli essiccatoi non si rimuove almeno 2 volte al giorno, si scurisce durante l’essiccamento.
Il locale di essiccazione dovrà essere arieggiatissimo, ma poco illuminato; la camomilla che riceve durante l’essiccazione la luce diretta del sole rimane danneggiata sia nel colore che nel profumo. L’essicazione sui telaini richiede in media una settimana e man mano che il prodotto si secca può essere ridotto su un numero minore di telaini, aumentando lo spessore dello strato e rimuovendo sempre.
Non si mescoli mai il prodotto di una raccolta precedente con nuovo prodotto di una raccolta più recente; si rovinerebbero entrambi.
Il “fiore” viene tolto dai telaini solo quando è ben secco e posto in locale asciutto a stagionare in mucchi di circa 50 cm di altezza; durante la stagionatura (che dura circa un mese) il prodotto va rimosso molto spesso. Fin dalla rimozione della camomilla dai telaini, si deve operare la divisione a seconda della qualità; dopo la stagionatura e prima dell’imballaggio (che normalmente si fa comprimendo bene il prodotto in bisacce) si opera generalmente una cernita per togliere i fiori ammuffiti o comunque deteriorati. In genere il prodotto viene classificato in prima e seconda qualità; prima qualità, fiori grandi e perfettamente bianchi; seconda qualità, fiori leggermente biondi e fiori bianchi ma piccoli (i fiori degli ultimi raccolti sono sempre più piccoli); il prodotto giallo viene dichiarato fuori classe e pagato a prezzo molto basso; il prodotto riscaldato e comunque gravemente alterato non viene in genere ritirato dai compratori.
Quando il raccolto sta per giungere alla fine e l’ultima fioritura di piccoli “fiori” è in corso, si possono recidere e distillare le sommità fiorite; la resa in essenza è sempre molto bassa (in genere inferiore allo 0,5 per mille). L’essenza ha un prezzo elevato, ma la sua richiesta sul mercato è piuttosto debole.
La coltivazione della Camomilla romana per la produzione del fiore non viene attualmente praticata in Italia ed il modesto fabbisogno interno è coperto dalla importazione nei paesi dell’Est europeo.
Per quanto riguarda l’essenza segnaliamo l’azienda agricola del geom. Osvaldo Calliero di Moretta (CN) che, oltre l’essenza di Menta piperita, produce olio essenziale di Camomilla romana. La raccolta è completamente meccanizzata.
CARCIOFO (CYNARA SCOLYMUS L.)
Erba perenne coltivata largamente come ortaggio. Per l’erboristeria sono molto richieste le foglie, la cui raccolta viene effettuata dopo che è stata ultimata quella dei capolini come ortaggio; in questo stadio però le foglie basali sono già secche e quindi non debbono essere raccolte, mentre sono utilizzabili solo quelle della parte più alta del fusto, che sono ancora verdi. L’essiccazione è assai difficile per l’altissima percentuale di acqua contenuta specialmente nei lunghi piccoli: per questo motivo gli agricoltori sono soliti raccogliere a mano le foglie, appoggiandole poi sulla pianta stessa in campo in modo che, dopo alcuni giorni di sole (la raccolta si effettua in giugno), si essicchino quasi completamente; l’essiccazione viene poi ultimata all’ombra.
Il materiale ben secco viene pressato con pressa-foraggi e così posto in commercio; la richiesta è assai notevole, ma il prezzo normalmente piuttosto basso; le quotazioni attuali si aggirano sulle 1500 lire al kg. Forse converrebbe effettuare la coltivazione esclusivamente per la foglia, piantando molto fitto e falciando le foglie in primavera e poi in estate; si otterrebbe così un prodotto assai migliore sotto ogni aspetto, ma occorrerebbe che le quotazioni fossero adeguate; mi risulta che qualche esperimento in merito sia stato effettuato, ma non sono in grado di fornire notizie certe.
Nelle Marche (provincie di Ancona e Macerata) numerosi coltivatori diretti produttori di Carciofo per ortaggio, producono foglie essiccate per l’industria liquoristica.
CARDO SANTO (CNICUS BENEDICTUS L.)
Erba annua di coltivazione non difficile, purché si disponga di terreni di medio impasto ben esposti e non troppo asciutti. Esperimenti ripetuti e qualche piccola coltivazione effettuata per la produzione erboristica hanno dati risultati soddisfacenti.La semina si effettua direttamente a dimora nel mese di aprile, ponendo il seme in solchetti distanti circa 60 cm, in gruppetti di pochi semi a circa 15 cm sulla fila. Le cure colturali sono analoghe a quelle praticate per le altre piante annuali (es. il Giusquiamo). Il prodotto, costituito dalle sommità fiorite essiccate, è richiesto in commercio in quantità non rilevanti; esso trova applicazione specialmente in liquoreria. Purtroppo però il prezzo non è remunerativo e per questo la coltivazione del Cardo santo è attualmente abbandonata. Esperimenti di coltivazione, abbandonati per sopravvenuta mancanza di richiesta del prodotto, sono stati effettuati anche con il Cardo mariano (Silybum marianum Gaertn.), pianta biennale affine alla precedente. Attualmente si nota una modesta ripresa della richiesta da parte di alcune industrie farmaceutiche.
CARVI (CARUM CARVI L.)
Ombrellifera biennale i cui frutti sono abbastanza richiesti in commercio per la preparazione del liquore Kummel. La coltura è in tutto simile a quella dell’Anice con la differenza che, trattandosi di pianta a ciclo biennale, la semina si fa, anziché in primavera, nell’autunno precedente. Con seme proveniente dall’Alto Adige sono state effettuate alcune prove di coltivazione, dalle quali si è potuto dedurre che questa pianta si adatta male ai nostri terreni di collina, perché troppo compatti e siccitori; potrebbe invece adattarsi ai terreni di montagna, specie se sciolti e relativamente freschi. Sono in corso esperimenti di coltivazione nella zona montana, sull’esito dei quali è però prematuro pronunciarsi.
CASTAGNO D’INDIA (AESCULUS HIPPOCASTANUM L.)
Il magnifico albero, tanto coltivato nei viali e nei giardini di tutta Italia, non ha bisogno di descrizioni perché troppo noto. In erboristeria sono richiesti i semi, che la pianta produce largamente in autunno e che si possono facilmente raccogliere a terra dopo averne separato la capsula spinosa, che alla caduta dei frutti è ancora quasi verde.
I semi debbono essere essiccati in locali asciutti e ventilati e rimossi spesso affinché non siano attaccati dalla muffa; il prodotto ben secco viene poi confezionato in sacchi. La richiesta è debole per i frutti ed anche, da quanto mi risulta, per le foglie essiccate e per la corteccia dei giovani rami. Per ovvi motivi dovuti al pericolo di inquinamento dovrebbero essere raccolti solo prodotti provenienti da ville in campagna e non da giardini pubblici o viali cittadini.
CEDRINA (LIPPIA CITRIODORA KUNTH.)
Nel mio vecchio giardino di Appignano, come in molti giardini piantati alla fine dell’Ottocento, esistevano numerosi cespugli di Cedrina, arbusto ornamentale di aspetto grazioso e le cui foglie hanno il caratteristico e piacevole aroma. Ho effettuato delle prove di coltivazione dividendo questi vecchi cespi da cui ho ottenuto numerose piantine. Purtroppo, da noi, la parte aerea della pianta resiste male ai rigori invernali e spesso si essicca; la parte sotterranea resiste però bene e quindi nella successiva primavera si ha un discreto ricaccio.
Le foglie raccolte a mano al momento della fioritura in piena estate hanno un discreto collocamento commerciale, ma il costo da noi risulta elevatissimo rispetto al prodotto proveniente dall’America meridionale, paese d’origine della pianta. Per questo motivo ho abbandonato da molti anni questa coltura.
CENTAUREA MINORE (ERYTHRAEA CENTAURIUM PERS.)
Piccola erba annuale o biennale, comune nei prati dal mare alla collina, ma sempre in quantità assai limitate. La richiesta della droga secca, costituita dalla pianta intera fiorita, è da alcuni anni aumentata ed il prodotto spontaneo non è sempre sufficiente a coprire la richieste del mercato; per questo motivo ho deciso di tentare la coltivazione di questa genzianacea.
I piccoli esperimenti finora effettuati hanno dato soltanto qualche indicazione circa il terreno da preferire, la semina e le altre pratiche colturali; essi però non sono stati ancora sufficienti per stabilire la convenienza della coltura dal punto di vista economico. La Centaurea ha un sapore amaro assai accentuato e come amaro la droga è richiesta, specie in liquoreria.
CICORIA (CICHORIUM INTYBUS L.)
Pianta comunissima allo stato spontaneo e facilmente riconoscibile per le infiorescenze di un magnifico colore azzurro.
In erboristeria sono richieste le foglie essiccate e specialmente la radice essiccata e tagliata. In passato la produzione spontanea copriva abbondantemente il fabbisogno, ma attualmente è richiesto anche il prodotto coltivato. La coltivazione della Cicoria non presenta particolari difficoltà: è una pianta che necessita soltanto di un terreno leggero e irrigabile per poter effettuare la semina diretta in campo in estate ed il raccolto nella primavera successiva prima che la pianta rifiorisca.La Cicoria vegeta bene durante il periodo invernale e può dare in tale epoca anche un raccolto di foglia verde, che trova una collocazione di mercato diversa, essendo infatti richiesta come ortaggio. La radice si essicca al sole dopo essere stata liberata dal terriccio con opportuni lavaggi e tagliata per facilitarne l’essiccazione. Come tutte le radici, richiede una essiccazione perfetta ed una lunga stagionatura per non subire alterazioni successive.
A mio parere, per avere una buona Cicoria occorre che il terreno sia ben concimato con sostanze naturali a base di fosforo, potassio e specialmente azoto e sia ricco di sostanza organica; in caso contrario la resa quantitativa è troppo bassa e la coltivazione non risulta conveniente.
COCLERIA (COCHLEARIA OFFICINALIS L.)
Sono stati effettuati alcuni esperimenti di coltivazione, di questa brassicacea biennale, ma il loro esito è stato assai poco soddisfacente sotto tutti gli aspetti.
La pianta richiede terreno fresco, irrigabile, leggero, riparato dal sole durante una parte del giorno; essa è avida di concimi, specie azotati ed è inoltre di essiccazione assai difficile, perché i tessuti sono molto ricchi di acqua.
A tutte le sopra esposte esigenze non corrisponde un reddito della coltura tale da renderla economicamente conveniente; infatti la resa unitaria in erba secca è assai bassa e per giunta il raccolto si ha solo al secondo anno di coltura, perché nel primo anno la pianta produce soltanto una rosetta di foglie basali. Non escludiamo che in altri terreni ed in diversi climi la coltura possa riuscire conveniente.
COLOQUINTIDE (CUCUMIS COLOCYNTIS SCRAD.)
Alcuni anni fa ho effettuato una coltivazione sperimentale di questa piccola cucurbitacea. La coltivazione non presenta alcuna particolare difficoltà ed è in tutto simile a quella dei cetrioli usati per ortaggi. Si usano i frutti decorticati e privati dei semi; la polpa secca deve avere un bel colore bianco. Sia durante la coltivazione che durante la manipolazione del prodotto si deve tener presente che la Coloquintide è velenosa e si debbono quindi adottare opportune precauzioni (vedi Belladonna).
Le prove sperimentali di coltivazione non hanno avuto un seguito perché la richiesta del mercato è debole ed il fabbisogno già largamente assicurato dalla produzione nordafricana.
CORIANDOLO (CORIANDRUM SATIVUM L.)
Fra le coltivazioni di piante aromatiche e medicinali da me effettuate, quella del Coriandolo si è dimostrata una delle più gradite agli agricoltori per la sua relativa semplicità, per la sua breve durata (poco più di 4 mesi), per lo scarso impiego di mano d’opera ed infine (e questa è forse la considerazione più importante) perché non richiede alcuna speciale attrezzatura per la preparazione del prodotto.Il Coriandolo è una ombrellifera annuale che può essere coltivata su tutti i terreni, anche i più asciutti ed integrati; naturalmente però da un prodotto più abbondante e qualitativamente migliore se coltivato in terreni di medio impasto e abbastanza fertili. Date le sue caratteristiche, il Coriandolo si presta ottimamente come pianta da rinnovo.
La preparazione del terreno è quella normale per la coltura da rinnovo, ossia lavorazione profonda estiva, lavorazioni superficiali autunnali, raffinamento del terreno prima della semina,.
La semina viene effettuata in marzo con una seminatrice regolata in modo da mantenere le file distanti 30-35 cm e da usare circa 40 kg di seme ha. Alla semina segue una buona rullatura.
Da questo momento fino alla trebbiatura non occorrerà più alcun intervento in quanto, se il diserbo è stato fatto bene ed ha avuto successo, il Coriandolo è pressoché privo di malerbe.
Quando la fruttificazione è completa e la quasi totalità del seme perfettamente secco, si procede alla trebbiatura con mietitrebbia opportunamente adattata per rendere bassa la percentuale del “seme” spezzato; il frutto del Coriandolo è infatti assai fragile. Il prodotto ottenuto dalla mietitrebbia, che contiene sempre qualche frutto non maturo ed una piccola percentuale di foglie verdi, deve essere essiccato completamente prima di essere insaccato e ciò si ottiene facilmente spargendolo in strati sottili in grandi locali e rimuovendo spesso, o meglio spargendolo su un’aia al sole.
In alcuni casi particolari potrà essere necessaria una ventilazione e vagliatura, ma, se tutto è stato normale, non ci sarà necessità di questo ulteriore intervento per ottenere un buon prodotto commerciabile. La produzione varia dai 15 ai 20 q per ettaro; il prezzo del prodotto subisce spesso notevoli oscillazioni e pure notevoli variazioni subisce la richiesta; per questo è sempre prudente coltivare il Coriandolo soltanto dietro prenotazione da parte dell’acquirente, se non si vuole incorrere nel grave rischio delle rimanenze.
Le applicazioni del seme di Coriandolo sono molteplici (aromatizzazione delle carni insaccate e della birra, estrazione dell’essenza per profumi, estrazione dell’olio per saponi, ecc).
Il prodotto italiano è fra i più quotati sul mercato mondiale ed in particolare il Coriandolo di Romagna è ritenuto il migliore e largamente esportato; il prodotto marchigiano ha caratteristiche ottime e si è ormai da anni affermato sul mercato interno per l’esportazione. Il seme di Coriandolo viene generalmente classificato in tre qualità:
prima qualità: semi grossi, di colore chiaro, fortemente aromatici;
seconda qualità: semi di colore chiaro, ma piccoli, oppure leggermente scuri, aromatici;
terza qualità: semi piccoli o grandi di colore molto scuro e che abbiano perso parte dell’aroma caratteristico.
Il valore del prodotto delle diverse qualità è assai diverso; coltivando, raccogliendo ed essiccando razionalmente si ottiene nella quasi totalità prodotto di prima qualità.
CRESCIONE (NASTURTIUM OFFICINALE R. BR.)
Crucifera perenne, che si trova spesso anche in Italia, lungo i corsi d’acqua, allo stato spontaneo. In Francia la pianta è largamente coltivata come ortaggio in appezzamenti appositamente scelti sui quali scorre lentamente acqua di assoluta purezza; l’autorità esegue controlli in merito. Appunto con seme proveniente dalla Francia ho effettuato una piccola coltivazione di Crescione presso una fonte di ottima acqua fresca e potabile che ho nei miei terreni di Appignano.
Il prodotto è stato ottimo e la pianta intera fresca consumata come insalata è di sapore assai gradito, ha una notevole azione stimolante generale sull’organismo ed ha azione diuretica.
Dai primi esperimenti mi risulta però che il prodotto è assai costoso e ritengo che prima di affrontare una coltivazione su vasta scala per l’erboristeria occorra effettuare un preciso conto economico.
Occorre anche tener presente che il prodotto messo in commercio allo stato secco è senza dubbio molto meno efficace del prodotto fresco.
CUMINO DI MALTA(CUMINUM CYMINUM)
Nell’anno 1949, con seme gentilmente fornitomi dal Royal University Botanic Garden, Floriana (Malta), feci una coltivazione sperimentale di questa piccola ombrellifera; l’anno successivo, con il seme ottenuto dalla coltivazione suddetta, potei impiantare una parcella di superficie importante.
L’andamento stagionale fu particolarmente sfavorevole ed il reddito della coltura pressoché nullo; la coltura del resto non presenta particolari difficoltà ed è in tutto simile a quella dell’Anice verde. Intendo riprendere gli esperimenti con questa ombrellifera, ma ritengo che il reddito sia sempre assai basso e che quindi alla coltivazione di Malta possano dedicarsi soltanto terreni particolarmente poveri e suscettibili soltanto di scarsa utilizzazione.
“D”
DIGITALE (DIGITALIS PURPUREA L.)
Ho coltivato per due anni la Digitale ed ho potuto quindi avere parecchi dati relativi a questa coltura; purtroppo, però, la coltivazione su vasta scala non è risultata conveniente economicamente ed è stata quindi abbandonata. Pianta biennale di facile coltura, richiede terreni leggeri, freschi, ricchi di humus, preferibilmente silicei; ombreggiati per buona parte del giorno. Si semina in primavera presto (marzo) spargendo il seme rado in aiuole larghe circa 1 m e ricoprendo con poca terra; occorre annaffiare fino alla nascita;si opera quindi direttamente in modo che la distanza fra una pianta e l’altra sia di circa 10-12 cm. Durante l’estate occorre annaffiare spesso ed estirpare accuratamente le malerbe; in ottobre si tagliano le foglie che vengono essiccate al sole, su graticci.
Nella primavera successiva si può avere un raccolto di foglie, poi la pianta fiorisce; normalmente però conviene togliere la coltura in autunno: ciò perché la raccolta primaverile è piuttosto scarsa.
Ho coltivato la Digitale usando seme pervenutomi da diversi orti botanici e talvolta ho ottenuto piante di notevole sviluppo: come sopra ho detto, però, la coltura è stata abbandonata a causa dello scarso reddito. Ho effettuato anche esperimenti di coltivazione con la Digitalis lanata Enrh., ma hanno avuto esito completamente negativo, perché sembra che questa pianta non resista al caldo asciutto delle nostre estati.
DITTAMO ERETICO (ORIGANUM DICTAMUS L.)
E’ pianta esotica (isola di Creta) da tempo immemorabile e coltivata in vaso nelle Marche; fino a poco tempo addietro quasi tutte le case dei nostri contadini avevano un vaso di Dittamo.
La coltivazione di questa pianta è suscettibile di dare redditi cospicui, ma la grande difficoltà è data dal fatto che la pianta non resiste d’inverno all’aperto, quindi, pur essendo la pianta perenne, la coltura va rinnovata ogni anno. Poiché capita talvolta di trovare piante che, essendosi bene acclimatate, danno seme (la maggior parte delle piante coltivate è sterile), occorre tenere queste piante in serra per conservarle e dal seme ottenuto ricavare d’anno in anno le piantine da coltivare. Seguendo il suddetto sistema ero riuscito anni fa ad ottenere una discreta coltura di Dittamo eretico, però sopravvennero alcuni inverni freddi ed umidi per cui le piante da seme ebbero molto a soffrire; per giunta , per cause imprecisate, molte piante all’uopo coltivate non diedero, per alcuni anni, alcun quantitativo di seme. Alla crisi, diciamo così, colturale si è poi sovrapposta la crisi economica dovuta alla ripresa della produzione greca ed al conseguente crollo dei prezzi.
Attualmente, date le difficoltà che essa presenta nelle nostre zone, la coltura del Dittamo eretico non è consigliabile in quanto non remunerativa.
DULCAMARA (SOLANUM DULCAMARA L.)
Suffrutice frequente nei luoghi ombrosi e freschi; la droga in commercio è costituita dai rami (stipiti di Dulcamara) e proviene tutta da piante spontanee. Prove di coltivazione hanno dato esito positivo.
La pianta cresce facilmente in tutti i terreni, purché non eccessivamente compatti; vegeta bene anche in pieno sole, ma richiede comunque abbondanti irrigazioni.
Il sistema di riproduzione dimostratosi il migliore è quello per talee messe direttamente a dimora in autunno; nella primavera-estate successiva si ha uno sviluppo notevole delle piante, con possibilità di ottenere un buon raccolto. La Dulcamara è una pianta perenne; la coltura quindi, una volta impiantata, offre una produzione continuata per parecchi anni. La dorifora attacca fortemente questa solenacea, è facile però combatterla con opportuni trattamenti.
“E”
EDERA TERRESTRE (GLECHOMA HEDERACEA L.)
E’ una labiata comunissima in tutta Italia, specie nei luoghi freschi ed ombreggiati. La pianta è perenne; si coltiva facilmente ricorrendo a seme o meglio a divisione dei cespi come per la Melissa.
Il prodotto spontaneo è stato fino ad ora sufficiente a coprire il fabbisogno, ma (dati l’aumento del consumo e la difficoltà di reperire persone che si dedichino alla raccolta del prodotto spontaneo) ritengo che la coltivazione possa essere intrapresa, sempre che la quotazione del prodotto rendano conveniente la coltura, che richiede un notevole impiego di manodopera.
ELICRISO (HELICHRYSUM ITALICUM G. DON.)
Piccolo arbusto, comunissimo nelle colline aride dei primi contrafforti dell’Appennino. La produzione spontanea è senz’altro abbondante ed essendo la richiesta del mercato piuttosto debole non ritengo che per il momento sia utile coltivare questa composita.
Tuttavia, nella previsione che il prodotto spontaneo venga a scarseggiare per i noti motivi, ho effettuato qualche prova di coltivazione servendomi di piante spontanee trapiantate in luoghi adatti.La coltivazione non presenta alcuna difficoltà dal punto di vista agronomico, ma ritengo che per ora non sia praticabile date le basse quotazioni del prodotto, che è costituito dai “fiori” la cui raccolta è assai costosa.
ENULA CAMPANA (INULA HELENIUM L.)
Composita perenne facilmente coltivabile. Sebbene il suo reddito non sia eccessivamente elevato ne consiglio la coltivazione per sfruttare terreni di fondo valle umidi, freschi ed ombreggianti, che difficilmente si prestano per le normali colture. Seguendo i consigli forniti da vari testi ho, per alcuni anni, proceduto alla coltivazione mediante semina diretta a dimora ed estirpazione delle radici dopo 1-2 anni; in questo modo però, almeno nelle nostre zone, l’Enula dà produzioni unitarie molto basse e quindi non è economicamente conveniente.
Più vantaggioso è il sistema che seguo ora e che consiste nella semina in semenzaio in giugno-luglio (utilizzando il seme appena raccolto da piante vecchie di 2-3 anni all’uopo coltivate) e successiva messa a dimora in autunno-inverno. Delle caratteristiche del terreno ho già detto; prima dell’impianto esso deve essere lavorato a 30-35 cm di profondità e concimato con concimi organici.
Le piantine, che si tolgono dal semenzaio quando le foglie sono scomparse e sono rimaste solo le gemme ibernanti, si mettono su file distanti circa 50-60 cm ed alla distanza di 30 cm sulla fila.
Durante l’estate successiva si eseguono le normali cure colturali; l’Enula però, è sotto questo aspetto, pianta assai poco esigente.
In settembre-ottobre si estirpano le radici ed i rizomi, si lavano e si tagliano in fette; si pongono poi ad essiccare al sole o in essiccatoi al calore artificiale. Il prodotto essiccato si tiene a stagionare in luoghi asciutti, rimuovendolo spesso ed osservando attentamente che non subisca l’attacco di muffe; come molte radici, anche quella dell’Enula è infatti soggetta ad ammuffire. Se, nonostante le precauzioni adottate, si notasse che il prodotto comincia ad ammuffire, è consigliabile portarlo subito in locale riscaldato. La radice ed i rizomi sono usati soprattutto in liquoreria e la loro richiesta è notevole; il prezzo però è spesso piuttosto basso a causa della concorrenza del prodotto estero.
ESCOLZIA DI CALIFORNIA (ESCHOLTZIA CALIFORNICA CHAM.)
Da alcuni anni abbiamo iniziato, nella nostra azienda agricola di Appignano, la sperimentazione relativa alla coltivazione dell’Escolzia di California, papaveracea originaria dell’America del Nord.
L’Escolzia di California è coltivata in Italia da molto tempo, ma soltanto negli anni 1990 alcune aziende erboristiche e farmaceutiche hanno mostrato interesse per questa coltura.
Noi abbiamo iniziato acquistando il seme da floricoltori per una piccolissima coltura, destinata innanzitutto alla selezione della pianta ed alla produzione del seme. La selezione ci è sembrata necessaria, dato che la pianta coltivata a scopo ornamentale era un miscuglio di varietà con fiori di vari colori, mentre la clientela esigeva erba con fiori gialli.
La coltivazione sperimentale non presentò difficoltà rilevanti e già al secondo anno abbiamo ottenuto dal nostro seme una piccola coltura in grado di fornire un prodotto dalle caratteristiche uniformi. Mentre una parte della coltivazione veniva dedicata alla produzione del seme, una piccola superficie veniva utilizzata per la produzione della droga, costituita dalla pianta intera fiorita ed estirpata con la radice; il prodotto è stato essiccato in essiccatoio ad aria calda ed è stato accettato dalla clientela.
La coltivazione sembra non presentare notevoli difficoltà e viene effettuata applicando le normali lavorazioni del terreno, concimazioni, ecc, e usando gli accorgimenti seguiti per le normali colture officinali estive in terreni irrigui. Ora occorre controllare le caratteristiche della nostra produzione, l’accoglienza del mercato e soprattutto le possibilità di meccanizzazione della coltivazione; dato che, all’attuale stadio di sperimentazione, l’impiego di manodopera risulta molto rilevante. Prima di iniziare in Italia la coltivazione dell’Escolzia occorrerà quindi valutare attentamente i vari aspetti delle modeste iniziative in corso.
ESTRAGONE (ARTEMISIA DRACUNCULUS L.)
La coltivazione di questa composita si è dimostrata facile ed economicamente conveniente e pertanto la coltura si è estesa in breve su scala relativamente vasta. La pianta si riproduce facilmente per mezzo della divisione dei cespi, che si può effettuare in autunno o in primavera; la riproduzione per seme, da me più volte tentata, ha dato invece sempre esito negativo.
La coltivazione dell’Estragone è però più esigente dell’Assenzio pontico in fatto di terreni, che preferisce freschi e di medio impasto. La droga secca, che viene usata come condimento, è poco richiesta; mentre l’essenza, che si ottiene per distillazione in corrente di vapore, ha trovato un collocamento abbastanza facile sul mercato.
“F”
FIENO GRECO (TRIGONELLA FOENUM-GRAECUM L.)
Ho coltivato questa leguminosa annuale per foraggio con esito positivo su terreni di collina di medio impasto tendenti all’argilloso.
In erboristeria sono richiesti semi, la cui produzione però, almeno da noi, è assai scarsa; ciò rende la coltivazione poco competitiva nei confronti della merce di provenienza estera.
FINOCCHIO (FOENICULUM VULGARE MILLER.)
E’ un’ombrellifera perenne facilmente coltivabile in terreni asciutti di collina. Come tutte le piante perenni di questa famiglia, si riproduce bene per seme in semenzaio estivo all’aperto; poi si trapiantano le piantine a dimora nell’autunno-inverno successivo. Dato il forte sviluppo che assumerà la vegetazione negli anni successivi, è consigliabile di piantare solo 8000/12000 piante ad ha a seconda della fertilità del terreno, che comunque prima dell’impianto dovrà essere lavorato a 35-40 cm incorporando una concimazione con sostanze naturali a base di N-P-K.
In commercio sono richiesti i “semi” che si ricavano facilmente dalla pianta tagliata ben matura, lasciata sul campo in fascetti ammucchiati in cataste di 810 covoni, affinché si completi l’essiccazione del fusto e delle ombrelle. La trebbiatura si fa poi con una normale trebbia per semi minuti; si ricavano così i frutti detti “semi” che, dopo un periodo di stagionatura in locali asciutti ventilati, possono essere insaccati e messi in commercio.Talvolta è richiesta anche l’essenza ma, prima di distillare l’erba fiorita per ottener essenza, bisogna accertarsi della quotazione e della possibilità di collocamento dell’essenza stessa.
Vari tentativi di ricorrere alla mieti-trebbiatura hanno avuto esiti poco soddisfacenti; la maturazione del seme è infatti poco omogenea e di conseguenza si raccolgono insieme “semi” maturi e non maturi e ciò rende necessaria una essiccazione assai rapida, che fornisce spesso un prodotto di qualità che lascia a desiderare.
FRAGOLA (FRAGARIA PESCA L.)
Non sto a descrivere la pianta a tutti nota, faccio solo presente che per l’erboristeria sono richieste le foglie e talvolta i rizomi della Fragola selvatica o Fragola di bosco. La coltivazione, analoga a quella della Fragola per ortaggio, deve essere effettuata esclusiva all’aperto e possibilmente in terreni freschi senza ricorrere all’irrigazione; occorre infatti tener presente che la Fragola per l’erboristeria non deve subire trattamenti anticrittogamici. La Fragola richiede un terreno leggero, ricco di humus e ben concimato, specie, se possibile, con concimi organici. La raccolta delle foglie deve essere effettuata alla fioritura e, se la stagione decorre favorevole si possa fare più tagli all’anno; l’essiccazione va effettuata all’ombra.
“G”
GALEGA (GALEGA OFFICINALIS L.)
In erboristeria sono richieste le sommità fiorite di questa leguminosa che si trova abbondante allo stato selvatico. Poiché da quanto mi risulta la richiesta è debole, essa è coperta dal prodotto spontaneo. Sempre però in previsione di una eventuale necessità di coltivare la pianta, in mancanza o insufficienza della produzione spontanea, ho effettuato colture sperimentali su modesti appezzamenti, che hanno dato esito positivo. La coltivazione è in tutto analoga a quella delle leguminose foraggere a grande sviluppo.
Si effettua la semina diretta in campo su file distanti 30-35 cm; si può seminare sia in agosto che in primavera, ma la semina estiva è più consigliabile perché permette di ottenere un buono sfalcio nella primavera successiva e, se la stagione decorre favorevole, anche un secondo sfalcio estivo. Da alcuni anni il mercato richiede modesti quantitativi di prodotto di aspetto particolarmente bello; ho però dovuto constare che il primo sfalcio primaverile non si presta allo scopo, in quanto i fusti sono troppo sviluppati e ricchi di acqua.
Ritengo pertanto consigliabile procedere ad uno sfalcio, o meglio alla triturazione della pianta, in primavera quando raggiunge l’altezza di 15 cm circa e raccogliere le sommità fiorite soltanto in luglio dal secondo ricaccio. Si effettua una parziale essiccazione al sole e si completa all’ombra; si confeziona poi il prodotto in balle pressate. Noi coltiviamo tuttora la Galega nella nostra azienda agricola di Appignano.
GENZIANA (GENTIANA LUTEA L.)
La pianta si trovava abbastanza abbondante allo stato spontaneo nei pascoli, generalmente ove il terreno è calcareo, nei nostri Appennini ed in particolare nel gruppo dei Sibillini.
La raccolta, spesso effettuata con sistemi vandalici e addirittura di rapina, ha ridotto però la presenza della pianta spontanea a poche colonie sparse ed in certi luoghi addirittura a pochi individui.
Per questo è stata più volte tentata la coltivazione in valle ricorrendo alla semina sul posto o in vivaio, come insegnano i vari testi da me consultati.
Sia stata colpa della nostra imperizia o di altre cause di carattere contingente, da questi vari esperimenti non si sono mai ottenute piante in grado di dare un raccolto; l’unico successo è stato ottenuto da alcuni montanari, che (dopo aver tolti i rizomi e le radici in stagione non asciutta) hanno nuovamente piantato nel terreno parte dei rizomi stessi con le gemme , dai quali, negli anni successivi, si sono sviluppate piante uguali a quelle spontanee. Alcuni raccoglitori asseriscono di avere ottenuto la riproduzione della pianta negli stessi luoghi di raccolta interrando i semi maturi nel terreno dal quale erano state estirpate le piante per il raccolto. Comunque la questione relativa alla coltivazione razionale della Genziana mi pare sia tutta da studiare.
La coltivazione della Genziana in alcune zone appenniniche delle Marche è in corso di studio ed i primi esperimenti verranno iniziati in breve con la collaborazione delle locali Comunità Montane.
Sono molto grato al dott. Alessandro Bezzi che ha messo a mia disposizione le sue pubblicazioni relative a questo argomento e che mi ha fornito preziose indicazioni in merito; ritengo comunque che soltanto fra alcuni anni si potrà essere in grado di dare agli agricoltori indicazioni pratiche circa l’esito di questa coltura nelle Marche. Attualmente è prevista nel Parco dei Sibillini qualche iniziativa per il recupero della Genziana, in passato abbondante e pressoché distrutta da raccolte selvagge.
GERANIO ROSATO (PELARGONIUM CAPITATUM L.)
Pianta perenne che s i coltiva come annuale; proviene dai paesi caldi (Nordafrica) e la sua acclimatazione ha presentato notevoli difficoltà. Esige terreni sciolti, profondi, irrigabili e ben esposti; al riparo dai venti freddi e dalla gelate tardive. Il terreno deve essere ben lavorato e concimato abbondantemente con stallatico, perfosfato ( q ha) e urea (2 q ha). In aprile si mettono a dimora le barbatelle preparate nell’autunno precedente e conservate al riparo dai freddi sotto vetro o in serre. Si irriga fino alla’attecchimento e poi per tutta l’estate, ove se ne presenti la necessità; frequenti le serchiature e le nitratature localizzate che debbono essere molto abbondanti (2-2,5 q ha). Le distanze da osservare nella piantagione variano a seconda della qualità del terreno; io ho adottato per terreni di collina di medio impasto la distanza di 80 x 60 cm.
La raccolta si effettua alla fioritura, il che normalmente si verifica ai primi di settembre; comunque non conviene protrarre oltre la raccolta (anche se la pianta non è ancora in piena fornitura) perché è in occasione dello sfalcio che si debbono preparare le talee servendosi dei rami semilignificati. In stagione più avanzata, infatti, le talee non attecchirebbero. Il Geranio rosato distillato in corrente di vapore fornisce una essenza dal profumo simile a quello della Rosa che è abbastanza richiesta e discretamente quotata; la coltivazione della pianta è quindi consigliabile, sempreché naturalmente il clima della zona non sia troppo rigido in primavera e purché si disponga di serre o altri impianti per conservare le talee durante il periodo invernale.
GIAGGIOLO (IRIS PALLIDA L.)
Pianta perenne di facile coltivazione in quanto si adatta anche a terreni asciutti di collina, purché non troppo compatti. La moltiplicazione si effettua a mezzo di rizomi, che si mettono a dimora in settembre, dopo avere accuratamente lavorato il terreno incorporando la solita concimazione (di estratti vegetali) a base di concimi fosfatici e azotati. La coltura resta in campo due o tre anni; quando i rizomi hanno raggiunto un buon grado di sviluppo, se ne effettua l’estirpazione, la decorticazione e l’essiccazione al sole; i rizomi migliori e quelli contenenti le gemme più vigorose servono per l’impianto della nuova coltura. Il rizoma di Giaggiolo è usato nella concia dei vini ed in cosmetica (ciprie), l’essenza è usata in profumeria.
Le modeste prove di coltivazione effettuate finora hanno dato esito positivo; ritengo che questa coltivazione possa avere un buono sviluppo, specie se verrà usata per lo sfruttamento dei terreni calcarei e polveri dell’alta collina e della bassa montagna. Da alcuni anni la richiesta è assai alta e le quotazioni sono in aumento, la coltivazione diventa quindi suscettibile di rese notevoli ed assai interessanti per aziende che dispongono delle attrezzature necessarie per l’essiccazione di Iris pallida e di Iris germanica vengono effettuate attualmente in Toscana e in Veneto.
GIUSQUIAMO (HYOSCYAMUS NIGER L.)
Il Giusquiamo è una solanacea usata in farmacia per il suo contenuto in iosciamina ed atropina; vengono adoperate le foglie e la pianta intera fiorita, che contengono, in percentuali diverse, lo stesso principio attivo. La pianta si trova spontanea in tutta Italia, ma quasi sempre in piccole quantità; la droga in commercio viene fornita quindi quasi esclusivamente da piante coltivate, oppure viene importata.Il Giusquiamo viene coltivato in parecchie varietà, che si distinguono soprattutto per la diversa durata del ciclo vegetativo, che può essere annuale o biennale; quindi tratterò esclusivamente della coltivazione della varietà annuale, che ho già potuto coltivare con buon esito in terreni silico-calcarei di collina nella nostra regione.
Il Giusquiamo è pianta velenosa, ma il suo odore nauseante rende pressoché impossibile che persone o animali se ne cibino inavvertitamente; bisogna fare invece attenzione a non sostare troppo a lungo in locali ove il Giusquiamo è posto ad essiccare, perché l’odore intenso della pianta può cagionare forti mal di capo, nausea e vomito; per questo è bene anche fare la raccolta della pianta in giornate fresche e ventilate. La coltivazione di questa pianta è relativamente facile e non richiede particolari requisiti di terreno, occorre soltanto che questo abbia un forte contenuto di calcio; nel caso invece in cui questo elemento disinfettasse, conviene effettuare la correzione con gesso agricolo in ragione di circa 5 q per ha; tale correzione si dimostra molto vantaggiosa non solo per il Giusquiamo, ma anche per le coltivazioni normali (frumento, granoturco, foraggi, ecc) che seguiranno negli anni successivi.
Il Giusquiamo è molto esigente in fatto di concimazioni e pertanto il terreno ad esso destinato deve essere abbondantemente concimato con letame; vantaggiosissimo è pure lo spargimento, prima della lavorazione, di abbondanti concimi liquidi organici. Il coltivatore deve tenere presente che, senza forti concimazioni, otterrà sempre una produzione scadente, sia dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo.
La concimazione a base di sostanze naturali deve essere pure abbondante: una buona formula per concimazione base è la seguente: perfosfato 7 q per ha, potassici 2 q, urea 2q.
La semina si fa in primavera molto presto, non appena scomparsa la neve (febbraio); si effettua direttamente a dimora ponendo il seme in solchetti e ricoprendolo con poca terra fine; per la coltivazione di una certa ampiezza può convenire l’uso della seminatrice meccanica. La distanza tra i solchi varia a seconda del prodotto che si vuole ottenere dalla coltura; infatti se si vuole ottenere il prodotto “pianta intera” occorre tenere una distanza variabile tra i 40 e i 50 cm, mentre se si vuole ottenere il prodotto “foglie” le distanze vanno ridotte di un terzo.
A seconda del sistema usato per la semina occorrono da 8 a 12 kg di seme per ettaro. Quando la piantina ha raggiunto un certo sviluppo, sempre comunque il più presto possibile, si procede al diradamento lasciando una pianta ogni 10-15 cm circa e si dà una prima nitratazione con nitrato di calcio in ragione di circa 1 q per ettaro; si sarchia quindi rincalzando leggermente le piantine.
Dopo circa tre settimane si ripetono una leggera sarchiatura ed una seconda nitratazione, questa volta con nitrato di soda in ragione di 50-70 kg ad ettaro; l’importante è ottenere uno sviluppo molto precoce e rapido della coltivazione, prima che abbiano a sentirsi i primi calori estivi e la siccità; con i primi forti calori infatti il Giusquiamo fiorisce e fruttifica rapidamente, arrestando praticamente il proprio sviluppo. Per ottenere foglia e fiore, la raccolta si fa appena la pianta inizia la fioritura, recidendo la pianta a terra e separando poi le foglie ed i ramicelli fioriti dal fusto il quale non serve per questa droga; e invece serve la pianta, questa viene sradicata intera verso la fine della fioritura e messa a essiccare.
L’essiccazione del Giusquiamo va fatta sempre all’ombra, su graticci per le foglie e le sommità, in comuni essiccatoi e comunque in locali coperti ed arieggiati per la pianta intera.
Il prodotto bene essiccato deve conservare il suo colore verde; basta un piccolo riscaldamento del prodotto fresco per dare alla droga una colorazione scura e deprezzarla; si deve quindi fare attenzione e non raccogliere nelle ore calde e a non tenere il prodotto ammucchiato neppure per poco tempo. La stagionatura si effettua in locali asciutti accumulando il Giusquiamo in “massette”, che vanno sorvegliate accuratamente e rimosse affinché non abbiano a riscaldarsi. Quando il prodotto è ben stagionato (occorrono in genere 20-30 giorni) si procede all’imballaggio in balle pressate, che debbono essere conservate in locali asciutti, perché la droga è assai igroscopica. Nelle coltivazioni da me effettuate ho sperimentato tre varietà di Giusquiamo annuale: la forma tipica, la varietà pallidus ed una terza varietà, che probabilmente è un ibrido delle due precedenti. In tutte le forme e varietà il Giusquiamo è attaccato da vari parassiti fra i quali particolarmente notevoli la larva di una mosca e quella di un coleottero, che però si combattono facilmente con opportuni trattamenti. Altro parassita assai dannoso è la dorifora che attacca la pianta in modo impressionante, tanto da distruggere (se non combattuta in tempo) in pochi giorni le colture; il coleottero ha una predilezione particolare per il Giusquiamo, che può essere quindi usato addirittura come pianta esca nella lotta contro la dorifora. Anche la dorifora si combatte facilmente con la lotta integrata.
GRAMIGNA (CYNODON DACTYLON PERS.)
Molte sono le specie di Gramigna esistenti, ma ritengo che per la coltivazione sia giusto ricorrere al Cynodon dactylon, che è da noi la Gramigna più diffusa e che presenta le caratteristiche migliori per il suo uso in erboristeria.Per impiantare la coltivazione occorre innanzitutto disporre di terreni adatti, leggeri o sabbiosi, ciò per rendere più facile l’estirpazione dei rizomi; il terreno però dovrà essere ricco: ricordiamo infatti che la Gramigna allo stato spontaneo si sviluppa in terreni fertili (vigneti, frutteti, corti coloniche, ecc.).
L’inizio della coltivazione non presenta alcuna difficoltà; basta estirpare in autunno la Gramigna spontanea e tagliarla in piccoli pezzi lunghi pochi centimetri, in modo che ogni pezzo contenga un “nodo” da cui l’anno successivo si svilupperà il germoglio e la nuova pianta. A mio parere è bene porre le file un po’ distanti per rendere più facile l’estirpazione, che si effettuerà quando i rizomi avranno raggiunto uno sviluppo sufficiente. L’estirpazione dei rizomi si fa nella stagione in cui il terreno si presta si più al lavoro: da noi è di solito il mese di settembre: anche perché in questo mese è ancora possibile l’essiccazione al sole e nello stesso tempo è possibile piantare nuovamente una parte dei rizomi per la successiva coltura.
Chi coltiva la Gramigna deve tener presente che trattasi di erba infestante e resterà poi molto difficile estirparla completamente, se ne consiglia quindi la coltivazione soltanto in terreni marginali e nei quali non debbano poi essere praticate colture ordinarie. Ci risulta che la richiesta sia in netta ripresa; comunque è sempre prudente prendere accordi preventivi con gli eventuali acquirenti.
GRINDELIA (GRINDELIA ROBUSTA NUTT.)
Composita originaria dell’America settentrionale, ottimamente acclimatata nella nostra regione; il seme per l’impianto della prima coltivazione ma venne fornito dalla Stazione sperimentale per le piante officinali di Napoli, ove la pianta era da tempo coltivata.Da quanto mi risulta, le colture di Grindelia delle Marche sono le uniche in Italia, oltre piccole colture esistenti in Puglia; la richiesta di questa pianta (che ha proprietà calmanti nell’asma e nella pertosse) è però assai scarsa, tanto che il mercato ne risulta facilmente saturo; è quindi prudente non coltivare se non si è certi del collocamento del prodotto. La pianta è perenne, ma non conviene protrarre la coltivazione per più di tre anni sullo stesso terreno, perché le piante vecchie danno un prodotto più scadente.
Si semina in semenzaio all’aperto all’inizio dell’estate (giugno) e si mette a dimora in autunno (ottobre-novembre). La pianta non è esigente e prospera bene anche in terreni forti e siccitosi; occorre però che la lavorazione sia molto profonda (almeno 45 cm) e che la concimazione base sia abbondante, con concimi sia organici che minerali.
Le piante si pongono su file distanti 40-50 cm ed a 25-30 cm fra pianta e pianta; le cure colturali consistono nelle normali sarchiature e scerbature; negli inverni fra il primo ed il secondo anno di coltivazione e fra il secondo ed il terzo,s i procede ad una accurata sarchiatura incorporando concimi a base di estratti vegetali; in primavera si ripetono più volte abbondanti nitratazioni.
In giugno la pianta fiorisce e quando la fioritura è al suo culmine (luglio) si procede alla raccolta della sommità fiorite, effettuando la falciatura a circa 1520 cm da terra, tagliando subito i fusti rimasti sul campo o eliminandoli con il trinciastocchi. L’essiccazione si effettua all’ombra in locali arieggiati; il prodotto secco deve mantenere inalterato il colore verde delle foglie e quello giallo dei capolini.
In commercio la grindelia è richiesta anche sotto le seguenti forme:
1) foglie e capolini;
2) sole foglie;
3) soli capolini.
Per ottenere questi vari tipi di droga si lavora opportunamente la pianta tagliata, dopo che è stata essiccata come sopra detto. Se invece si vogliono ottenere le droghe – “foglie e capolini”, “sole foglie” “soli capolini” – si procede al taglio dei capolini ed alla separazione dai fusti, confezionando poi le varie parti unite e separate; questi lavori si fanno normalmente in autunno-inverno, cioè in periodi di riposo. Le sommità fiorite si confezionano in balle pressate, le altre droghe in “bisacce”.
Per il loro alto contenuto in resina le foglie ed i capolini della Grindelia conservano la loro elasticità anche dopo essiccati; la lavorazione del prodotto secco è quindi facile e non si ha da temere lo sminuzzamento della droga. Se la stagione decorre favorevole e non troppo asciutta o se è possibile irrigare, si ha, oltre al taglio di giugno-luglio, un secondo taglio in settembre; questo taglio però fornisce una droga più scadente, in quanto la pianta non raggiunge la fioritura completa ed il contenuto in resina è assai inferiore.
Data la stagione avanzata, è necessario ricorrere all’essiccazione al calore artificiale; i locali debbono essere però ben riscaldati e ventilati perché la Grindelia è molto soggetta ad alterarsi.
Questi essiccatoi consistono in due locali: nel primo(di cubatura ridotta) si procede al riscaldamento dell’aria; l’aria calda viene poi aspirata ed immessa nel locale di essiccazione attraverso tubazioni che la distribuiscono uniformemente. Manovrando apposite valvole è inoltre possibile immettere nei locali aria esterna opportunamente filtrata e farne uscire l’aria che si è saturata d’umidità in seguito all’essiccazione dei prodotti. Il tipo di essiccatoio che ho illustrato sommariamente è fra i migliori che io conosca ed il suo funzionamento risulta comodo e razionale; per le sue molteplici applicazioni ritengo che esso risulti indispensabile a qualsiasi azienda intenda dedicarsi alla coltivazione delle piante officinali.
“I”
IPERICO (HYPERICUM PERFORATUM L.)
La pianta è molto diffusa allo stato spontaneo e da alcuni anni viene coltivata largamente anche in Italia. Abbiamo effettuato i primi esperimenti di coltivazione utilizzando il seme raccolto da piante spontanee, effettuando la semina in serra durante l’inverno ed il trapianto primaverile. Poi abbiamo seguito la tecnica adottata normalmente dai coltivatori italiani, cioè quella della semina diretta.Il terreno deve essere preparato adeguatamente e concimato con concimi fosfopotassici, l’azoto deve essere somministrato all’impianto e ripetuto in seguito durante lo sviluppo delle piantine. La raccolta deve essere effettuata utilizzando falciatrici-caricatrici opportunamente regolate in modo da raccogliere soltanto le sommità fiorite, che risultano più ricche di principi attivi.
L’essiccazione deve essere rapidissima e di conseguenza effettuata in essiccatoio in grado di raggiungere temperature elevate.L’azienda del geom. Osvaldo Calliero di Moretta (CN) usa la macchina illustrata in foto per la raccolta dell’Iperico. Riteniamo che la coltivazione dell’Iperico, che in Italia aveva superato la superficie di 100 ha, non sia attualmente conveniente a causa del forte ribasso delle quotazioni.
ISSOPO (HYSSOPUS OFFICINALIS)
Labiata abbastanza comune nei luoghi sassosi e soleggiati, specialmente in Italia centrale. La richiesta della droga sul mercato è modesta; tuttavia, quando si possa essere certi del collocamento della droga secca o si abbia la possibilità di effettuare la distillazione sul posto per la produzione dell’essenza, la coltivazione di questo piccolo suffrutice può talvolta essere conveniente.
Si semina in giugno-luglio in semenzaio e si trapianta in autunno, scegliendo per la messa a dimora terreni calcarei e ben esposti in collina. Ove si disponga di irrigazione di soccorso, risulta più conveniente la semina diretta in campo in primavera (marzo), ottenendo così fin dal primo anno di coltivazione un buon taglio in agosto. Trattandosi di pianta perenne (la coltura dura in media 4 anni) con apparato radicale piuttosto sviluppato, il terreno deve essere lavorato profondamente e accuratamente. In fatto di concimazioni l’Issopo è poco esigente, anzi una concimazione troppo abbondante (specie se molto ricca di azoto) può provocare una vegetazione molto rigogliosa, con conseguente produzione di una droga scarsamente aromatica. Le cure colturali consistono nelle solite scerbature, sacchiature e fresature invernali. La raccolta si effettua quando la pianta è in piena fioritura, tagliando solo la parte erbacea e lasciando in sito la parte legnosa.
L’erba si porta subito all’essiccatoio o alla distilleria, evitando di tenerla ammucchiata perché si riscalda facilmente. L’essiccazione si fa all’ombra; se la droga è richiesta come sommità fiorita, essa viene passata alla stagionatura e quindi preparata in ballette pressate; se invece viene richiesta la “droga monda” si procede alla “battitura” ed alla successiva vagliatura; l’Isoppo mondo viene poi confezionato in bisacce.La distillazione dell’Isoppo si effettua facilmente in corrente di vapore. Si ottiene un’essenza di forte odore caratteristico, richiesta sul mercato ma molto saltuariamente; la resa in essenza dall’erba verde è di circa l’uno per mille. L’Issopo è pianta mellifera interessante per l’abbondante produzione di nettare assai aromatico e soprattutto per il fatto che la fioritura avviene in giugno-luglio, epoca normalmente di carestia per le api, almeno nella nostra regione.
“L”
LATTUGA VELENOSA (LACTUCA VIROSA L.)
Uso medicinale
La pianta si trova allo stato spontaneo nei luoghi aridi e sassosi di tutta Italia (cfr. Lodi) ed il prodotto spontaneo è sufficiente a coprire le richieste del mercato, che sono normalmente piuttosto modeste. Il lactuario, costituito dal latice ricavato dalla pianta in parola, non mi è stato mai richiesto, mentre un certo interesse presenterebbe l’erba verde da utilizzarsi come tale per la produzione di estratti. Ho effettuato una piccola prova di coltivazione della Lactuca virosa, coltivazione che non presenta alcuna particolare difficoltà, essendo in tutto analoga a quella della Lattuga usata come ortaggio.
I tre principali ostacoli da superare per l’ampliamento di questa coltura nelle Marche sono: 1) la raccolta del seme che matura gradualmente e essendo munito di pappo, si perde con enorme facilità, rendendo lunghe e costosissime le operazioni della raccolta stessa; 2) la difficoltà di portare con sollecitudine il prodotto verde in fabbrica prima che si deteriori, 3) la forte incidenza delle spese del trasporto stesso sul costo della droga, dato che gli stabilimenti che utilizzerebbero il prodotto verde si trovano in alta Italia.
LAUROCERASO (PRUNUS LAUROCERASUS L.)
Uso medicinale
E’ spesso coltivato come pianta ornamentale in parchi e giardini. La richiesta di foglia è piuttosto debole e di conseguenza è stato sempre sufficiente il prodotto ricavato dalla potatura di siepi costituite da questa rosacea.
Poiché però il periodo della normale potatura non coincide con il periodo balsamico, la droga normalmente in commercio risulta assai povera di principi attivi; per avere un buon prodotto sarebbe bene coltivare la pianta per l’erboristeria. La coltivazione non presenta alcuna difficoltà in clima temperato e potrebbe essere anche conveniente, sempre che si abbia la sicurezza del collocamento costante del prodotto per un lungo periodo.
LAVANDA (LAVANDULA VERA D.C.)
Uso medicinale
Pianta perenne, rustica, resistente alla siccità, si presta ottimamente per la valorizzazione dei nostri terreni di montagna. La Lavanda si può riprodurre per seme, ma è preferibile la riproduzione per talea semi erbacea in apposito piantinaio; la piantina ottenuta si mette a dimora 1 o 2 anni dopo, quando è ben sviluppata. Il terreno si lavora come meglio è possibile e si concima con concimi complessi, che, data la loro alta concentrazione, permettono di ridurre le spese di trasporto; in terreni molto ciottolosi bisogna accontentarsi di scavare profondi solchi trasversali per la piantagione. Le distanze da osservare variano; in genere è bene che le piantine distino almeno 80-90 cm le une dalle altre.
Si deve curare molto l’accestimento con opportuni rincalzi fin dal 1° anno di coltura; accurate devono essere la mondatura intorno ai cespi e la lavorazione del terreno, almeno per i primi tre anni.
Ogni anno si deve concimare alla base dei cespi fornendo fosforo, azoto e, se possibile, potassio; le nitrature primaverili sono particolarmente utili nei primi anni di coltivazione. Una coltura di Lavanda ben tenuta può durare con relativa facilità 15-20 anni e richiede cure non molto onerose.La raccolta dei fiori si effettua in giugno-luglio ed il prodotto viene normalmente distillato; poco richiesta è la droga secca. La resa del lavandeto, se piantato e custodito con cura, è sempre notevole, soprattutto se si considera che questa pianta prospera in terreni inadatti alle normali colture agrarie e ad altezze notevoli (fino ad oltre 1000 m.s.l.m.).
LAVANDINO (VARI IBRIDI DI LAVANDULA SPICA + L. VERA)
Uso medicinale
La pianta è coltivata abbastanza diffusamente nelle Marche, in particolare nella zona collinare e montana; io stesso ho effettuato colture di Lavandino nei miei terreni di collina.
Non starò qui ad illustrare la coltivazione di questa labiata perché ne ha scritto ampiamente e con grandissima competenza l’amico Rinaldi Ceroni; a me non resta che confermare che la coltivazione, effettuata in luoghi adatti e con appropriate tecniche colturali, è veramente interessante ed economicamente conveniente. Occorre comunque curare assai il collocamento, possibilmente preventivo, dell’olio essenziale, perché sovente si può incorrere nel rischio della sovrapproduzione con conseguente crollo dei prezzi; occorre anche tener conto della notevole concorrenza del prodotto estero.
LINO (LINUM USATISSIMUM L.)
Uso agricolo e medicinale
Erba annua di altezza variabile fra i 50 e gli 80 cm, con fiori azzurri e fioritura prolungata di bellissimo effetto. Alla fine degli anni 1930, in periodo di autarchia, il Lino fu largamente coltivato nelle Marche per la produzione della fibra e nella regione furono costruiti anche alcuni linifici; l’attività fu però abbandonata durante la guerra e non più ripresa. Piccolissime coltivazioni per la produzione del seme vengono tuttora effettuate per modeste forniture ad erboristi. Il Lino predilige terreni di medio impasto e freschi. La preparazione del terreno è quella normale per una coltura da rinnovo, la concimazione naturale all’impianto deve fornire circa 100 unità di azoto ed altrettante di fosforo e potassio; si semina su file distanti 30 cm ca. impiegando 50-60 kg di seme per 1 ha. La raccolta si effettua con mietitrebbia quando il frutto non è ancora perfettamente essiccato per evitare perdite per sgranatura; il prodotto viene poi essiccato al sole; la resa si aggira sui 12 q/ha.
LIQUIRIZIA (GLYCYRRHIZA GLABRA L.)
Uso medicinale
Ho effettuato anni addietro un piccolo esperimento di coltivazione con radici provenienti dalla Sicilia. La pianta si è acclimatata ottimamente e si è sviluppata tanto da divenire infestante; non teme affatto il freddo e si adatta anche a terreni piuttosto ingrati ed asciutti. Della Liquirizia si utilizzano le “radici”, che si estirpano dopo alcuni anni dall’impianto della coltura (4 o 5 anni); esse vengono essiccate e preparate in fascetti. La richiesta del prodotto è notevole, specie dopo che le raccolte indiscriminate hanno assai ridotto la produzione spontanea dell’Italia meridionale e della Sicilia.
LOBELIA (LOBELIA INFLATA L.)
Ho tentato di coltivare per alcuni anni questa pianta dell’America settentrionale che, da quanto mi risulta, si è acclimatata bene in alta Italia. Nelle Marche tutti gli esperimenti da me fatti hanno dato esito poco soddisfacente, perché la pianta non sopporta le nostre estati calde ed asciutte, fiorisce prematuramente e dà una produzione unitaria assai scarsa. Non escludo che, scegliendo terreni migliori ed effettuando la coltura in qualche valle fresca della nostra montagna, sia possibile ottenere esiti più soddisfacenti.
LUPPOLO (HUMULUS LUPULUS L.)
Uso
La pianta cresce spontanea lungo i fossi, i corsi d’acqua ed in genere nei luoghi freschi della nostra regione; è però piuttosto rara.
Io non ho mai coltivato questa specie e quindi non sono in grado di fornire dati relativi alla coltivazione; ho citato questa urticacea soltanto perché mi risulta che, prima della guerra, ne esisteva una piccola coltivazione nell’azienda dei conti Spada in provincia di Ancona.
La coltura in parola fu condotta per alcuni anni con esito discreto (si era allora in periodo autarchico ed il collocamento del prodotto era assai facile), ma poi fu abbandonata per mancanza di mano d’opera durante la guerra. Attualmente, data la concorrenza sul mercato del prodotto estero, non ritengo che la coltura del Luppolo sia consigliabile.
“M”
MAGGIORANA (ORIGANUM MAJORANA L.)
Uso medicinale
E’ una delle colture officinali suscettibile di maggiore sviluppo per la notevole richiesta di droga secca e di essenza; anche la coltivazione è relativamente facile e, se effettuata con cura, notevolmente redditizia. La Maggiorana è pianta perenne (la sua coltivazione dura in media 4 anni), che si adatta a pressoché tutti i terreni, preferendo quelli leggeri e ben esposti; occorre assolutamente che i terreni siano drenati bene perché il ristagno dell’acqua è dannoso. La Maggiorana si può riprodurre per divisione dei cespi e per seme; io sconsiglio decisamente il primo perché da luogo a piante aventi scarsa vitalità e poco resistenti alla siccità ed ai geli. L’epoca della semina varia a seconda del periodo nel quale si intende fare l’impianto della coltura; se si vuole mettere la Maggiorana a dimora in autunno (ottobre) si semina in giugno in semenzai all’aria libera, se si vuole invece effettuare la piantagione in primavera (aprile-maggio) la semina si fa in gennaio-febbraio in serra.
Io consiglio, nelle nostre zone,l’impianto autunnale della copertura per i terreni di medio impasto, in posizione riparata dai venti freddi e dove non si abbiano a temere gelate precoci; invece per i terreni argillosi e freddi, male esposti, dove si abbiano a temere gelate precoci, consiglio la piantagione primaverile.
Il terreno deve essere ben lavorato e concimato abbondantemente con letame e concimi liquidi organici (liquami, pozzetti); con la seconda lavorazione superficiale vengono interrati perfosfato in ragione di 6 q/ha e azotati in ragione di 1,5 q/ha.Le piantine si mettono in solchetti piuttosto profondi (15 cm circa), scavati perpendicolarmente alla pendenza del terreno; la distanza fra i solchetti è di 35-40 cm, la distanza fra pianta e pianta di 20-25 cm; se le piantine sono ben sviluppate se ne mettono 2-3 per posta, in caso contrario 4-5.
La pianta attecchisce difficilmente; se la stagione decorre siccitosa si deve irrigare fino a completo attecchimento. Nel primo anno di coltivazione, preoccupazione principale del coltivatore deve essere quella di dare alle piantine un buon accestimento; ciò si ottiene con numerose nitritature e sarchiature, con la rincalzatura dei cespi e spuntando i rami che tendessero a fiorire troppo per tempo. Per allargare il cespo è anche utile porre ad un certo momento sulla piantina una zolla di terra in modo da costringere i rami a strisciare sul terreno, ove emettono radici, rendendo così più ampia la base del cespuglietto. Una coltura ben fatta di Maggiorana non dovrebbe il primo anno prima del mese di agosto; si fa allora la raccolta della pianta fiorita e la si secca all’ombra oppure spargendola al sole sull’aia; in tal caso però la droga deve essere continuamente rimossa per ottenere una essiccazione rapidissima, senza che ne vengano danneggiati il colore e l’aroma.
Nell’effettuare la raccolta il coltivatore accorto non deve mai cedere al desiderio di raccogliere più del giusto tagliando la pianta troppo vicino a terra; facendo in tal modo egli realizza ben poco di più (perché la parte bassa della pianta è semi-lignificata e poco ricca di foglie), mentre costringe la pianta ad uno sforzo non indifferente per l’emissione successiva di germogli dalla base, compromettendo in tal modo i raccolti successivi. Il prodotto essiccato viene in seguito “battuto” e vagliato per ottenere la “droga monda”; affinché l’operazione riesca facilmente e bene è necessario che il prodotto sia secchissimo, il che si ottiene esponendolo di nuovo al sole per qualche ora prima di “batterlo”. Le operazioni di “battitura” e vagliatura sono state fatte a mano in passato; ora finalmente (con la cooperazione di intelligenti artigiani) sono riuscito a far costruire una macchina che prepara ottimamente la droga monda senza sminuzzare affatto la foglia ed i fiori; la realizzazione di questa macchina facilita assai i coltivatori, perché uno dei lavori più lunghi e faticosi della coltura della Maggiorana era appunto la preparazione della droga monda.
Negli anni piovosi accade sovente che la terra aderisca alle foglie e che venga poi a trovarsi nella droga sotto forma di polvere; in tal caso occorre assolutamente che il prodotto sia vagliato o ventilato per eliminare questi residui terrosi che non sono tollerati giustamente, dagli acquirenti. Il primo anno, con un solo taglio, si ottengono in media 5-6 q di droga secca monda ad ettaro; spesso da buone colture si sono ottenuti anche i 9 q/ha. Negli anni successivi, con due raccolti all’anno, si raggiungono regolarmente i 12 q/ha e non di rado si arriva anche a produzioni di 15, eccezionalmente 20 q all’ettaro. Come si vede, la coltura della Maggiorana non presenta particolari difficoltà, anzi, è fra le più semplici; occorre soltanto, ed insisto su questo punto perché qui sta la base del successo, ottenere che la pianta accestisca bene fin dal primo anno; se l’accestimento non si ottiene il primo anno, si avrà sempre una coltura stentata e di reddito basso; non di rado colture trascurate hanno dato meno della metà del reddito normale. Se dalla coltivazione si vuole ottenere l’essenza invece del prodotto secco per l’erboristeria, si ricorre al taglio della parte superiore delle piante, nell’esatto momento balsamico, che corrisponde con l’avanzata fioritura. Il prodotto verde si porta subito alla distilleria; si ottiene un’essenza di color paglierino e di odore assai delicato; la resa in essenza è assai elevata (circa il 4%); l’essenza trova facile collocamento commerciale. Gli eccezionali e prolungati freddi dell’inverno 1986 (che nelle nostre zone hanno completamente rovinato piante di olivo centenarie!) sono stati fatali alla maggior parte delle colture di Maggiorana. In tanto disastro ho però notato che le colture ben esposte, con piante ben accestite e non troppo sfruttate con tagli bassi, hanno resistito in massima parte, mentre le colture più scadenti sono andate completamente perdute.
MALVA (MALVA SILVESTRIS L.)
La pianta si trova comunemente allo stato spontaneo specie nei luoghi erbosi; nei cortili delle case coloniche è spesso abbondantissima formando dei prati pressoché monofiti. La coltivazione non presenta alcuna difficoltà; la riproduzione per seme direttamente in campo riesce con facilità e la pianta è molto rustica; se il terreno è umido le piante vengono attaccate da una ruggine che danneggia le foglie (Brilli). Sia le foglie che i fiori sono molto richiesti sul mercato erboristico e le quotazioni sono interessanti; la coltivazione è quindi senz’altro conveniente e consigliabile. Consiglio di non eccedere nelle concimazioni, specie azotate, perché si ottengono foglie e fiori troppo sviluppati e che si essiccano difficilmente fornendo un prodotto di caratteristiche scadenti, anche se in quantità assai maggiore.
MELILOTO (MELILOTUS OFFICINALIS L.)
Uso medicinale
Leguminosa papilonata piuttosto comune e spesso abbondante nei campi; lungo le strade e nei terreni incolti della nostra regione. Per il suo alto contenuto in cumarina il Meliloto trova qualche applicazione e la droga, formata da fiori o dalle sommità fiorite, mi è stata qualche volta richiesta. Ho effettuato perciò qualche piccola prova di coltivazione che, come era facilmente prevedibile, non ha presentato alcuna difficoltà, essendo la coltura del Meliloto in tutto analoga a quelle delle comuni leguminose foraggere biennali. Successivamente la richiesta di sommità fiorite di Meliloto è notevolmente aumentata e pertanto le coltivazioni si sono estese.
La pianta si può seminare in primavera, ma in questo caso si ha difficilmente una completa fioritura nel primo anno di coltivazione ed il prodotto, costituito da sommità con pochi fiori, è scadente.
Più consigliabile la semina estivo-autunnale in terreni ben pulito, raffinato, concimato con concimi fosfo-potassici e rullato dopo la semina; la nascita si ha con le prime piogge di settembre ed in generale la coltivazione supera bene l’inverno, dando un notevole sviluppo ed una bellissima fioritura nella primavera successiva. Se però si hanno forti gelate all’inizio dell’inverno o nel tardo autunno, le piantine di Meliloto non sufficientemente sviluppate possono andare perdute, fatto che non si verifica con le piante ben accestite provenienti dalle colture seminate a primavera.
L’essiccazione viene effettuata in un primo tempo al sole e completata all’ombra, il prodotto confezionato in balle pressate. La produzione si aggira sui 3000 kg/ha.
MELISSA (MELISSA OFFICINALIS L.)
Uso medicinale
Labiata perenne che si trova allo stato spontaneo in tutta Italia, specialmente nei luoghi ombrosi e freschi; la pianta ha odore intenso di limone, donde i nomi di cedronella, erba limone che vengono attribuiti alla Melissa.La droga viene normalmente fornita dal prodotto spontaneo, che è piuttosto abbondante; poiché però talvolta la richiesta è notevole, può convenire la coltivazione, naturalmente sempre che si sia ben certi del collocamento del prodotto.Il terreno per la coltivazione deve essere fresco, meglio se ombreggiato per una parte del giorno, leggero e fertile; per ottenere forti produzioni unitarie sono da preferirsi i terreni irrigui; ma la droga che si ricava in questo caso è meno profumata.La pianta si riproduce per seme e per divisione dei cespi; la semina si fa in giugno-luglio in semenzaio per trapiantare poi le piantine a dimora in autunno; la divisione dei cespi si fa invece in novembre-dicembre quando la pianta si trova in completo riposo.
Prima del trapianto delle piantine e della messa a dimora dei cespi suddivisi, il terreno deve essere lavorato profondamente, concimato abbondantemente con concimi organici e minerali a base di fosforo e potassio.La piantagione si fa su file distanti 45-50 cm e ponendo le piantine o i cespi a 30 cm sulla linea; se si usano i cespi, essi vanno interrati di circa 5 cm sotto il livello del terreno.
In primavera si operano alcune sarchiature in modo che la vegetazione abbia un rapido sviluppo. Normalmente una buona coltivazione di Melissa consente due sfalci di prodotto per ogni stagione, uno a giugno (alla fioritura) e l’altro in settembre.La pianta si taglia a circa 8 cm dal suolo e si porta immediatamente all’essiccatoio o alla distilleria, senza comprimerla perché subisce la “cottura” con grande facilità; per la produzione dell’essenza lo sfalcio deve farsi a fioritura più avanzata.
In commercio la Melissa è richiesta sotto forma di “sommità fiorite” o di “foglie monde”. Nel primo caso l’essiccazione si effettua in locali freschi ed arieggiati ponendo il prodotto in modo che l’aria circoli facilmente (la Melissa è, come ho detto, facile a riscaldarsi ed allora la droga secca assume un colore scuro che la deprezza assai); nel secondo caso invece si procede sul materiale fresco alla defogliazione degli steli e si pongono le foglie su telaini ad essiccare, con tutte le precauzioni possibili per eviterei il riscaldamento e conseguenti danni.
I prodotti secchi si fanno stagionare in locali asciutti ed arieggiati, rimuovendoli spesso; dopo la stagionatura (che dura in media un mese) si procede all’imballaggio del materiale inumidendolo prima leggermente perché non abbia a polverizzarsi con la compressione.Le sommità si confezionano in ballette pressate, le foglie monde in “bisacce”. La distillazione del prodotto verde dà un’essenza di odore assai gradito, ma la percentuale di resa è assai bassa (0,5-1%).La coltivazione della Melissa dura in media 4-5 anni, dopo di che conviene toglierla. Ogni anno si deve procedere ad una fresatura invernale con interramento di una concimazione chimica completa.
MENTA PIPERITA (MENTHA PIPERITA L.)
Uso medicinale
La coltura della Menta piperita è una delle più interessanti per l’estensione che essa può assumere; infatti la richiesta della Menta essiccata e soprattutto quella dell’essenza è assai notevole, in quanto costituiscono le materie prime di numerose industrie profumiere, dolciarie, farmaceutiche, ecc. Purtroppo nella nostra regione, ed in particolare nella zona collinosa, sono piuttosto rari i terreni che si prestano alla coltura della Menta piperita, in quanto questa pianta predilige terreni freschi, sciolti, profondi, fertili ed irrigabili; si può coltivare tuttavia anche su terreni di medio impasto, ma occorre allora concimare molto abbondantemente ed irrigare senza economia durante la stagione calda. Della Menta piperita si coltiva da anni nelle Marche la varietà “Italo-Mitcham” e l’esito delle colture, se fatte a dovere ed in terreni adatti, è stato sempre soddisfacente anche negli anni più siccitosi. Nei nostri terreni di medio impasto, la Menta, che pure è pianta perenne, va coltivata come annuale; coltivazioni tenute per due anni nello stesso terreno hanno dato sempre prodotto inferiore in quantità nel secondo anno, mentre le spese di lavorazione sono state più notevoli a causa delle difficoltà incontrate per la sarchiatura del terreno e per l’estirpazione delle malerbe. In linea generale io consiglio quindi di effettuare la coltivazione come annuale: soltanto in terreni particolarmente leggeri e praticamente esenti da malerbe potrebbe forse essere conveniente tenere la coltura per due anni sullo stesso terreno, a patto però di interrare alla fine del primo ciclo colturale i rizomi con una leggera lavorazione superficiale.La riproduzione della Menta piperita si può fare in due modi: a mezzo dei rizomi in autunno o in primavera molto presto, oppure a mezzo delle piantine fogliate nella tarda primavera; nelle nostre zone a siccità precoce è senz’altro da consigliare il trapianto autunnale; solo in terreni molto freschi ed irrigando abbondantemente si può ricorrere al trapianto primaverile a mezzo di piantine fogliate. La lavorazione del terreno per la Menta deve essere effettuata accuratamente, ma non troppo profondamente (30-35 cm), interrando abbondante stallatico. Con la seconda lavorazione superficiale si interrano poi 4-5 q di perfosfato, 2 q di azoto, 2-3 q di potassici per ettaro.
I rizomi si mettono a dimora con appositi assolcatori-trapiantatori; i rizomi si tolgono man mano da una vecchia coltivazione e si mettono subito a dimora senza economia: più sono abbondanti i rizomi, più abbondante sarà la raccolta. L’assolcatura deve essere regolata in modo che le file vengano a distare fra loro circa 35 cm.
Le piantine fogliate si prelevano invece da un appezzamento appositamente lasciato dall’anno precedente, che prima dell’inverno deve essere ricoperto con circa 3-4 cm di terriccio, in modo da permettere l’emissione di radici anche dai fusti di Menta striscianti sul terreno. Le piantine fogliate si estirpano quando hanno raggiunto l’altezza di 5 cm circa e si mettono a dimora con trapiantatrice su file distanti 40-45 cm e a 10-15 cm sulla fila. In primavera vengono effettuate numerose sarchiature, scerbature e nitratazioni frequenti ed abbondanti (almeno 2 q di nitrato di calcio per ettaro ripartiti in varie volte). Con la stagione calda occorre dar inizio alle irrigazioni (ottima ogni tanto qualche fertirrigazione) che debbono essere continuate fino a una decina di giorni prima del raccolto.
Finchè lo sviluppo della coltivazione lo consente, vanno continuate le sarchiature superficiali; quando la coltura ha raggiunto i 25-30 cm di altezza ed ha ricoperto completamente il terreno, non si può sarchiare più ed allora si ricorre soltanto a qualche scerbatura. Il periodo balsamico per la raccolta varia a seconda dell’impiego del prodotto: se esso è destinato all’erboristeria, la raccolta deve effettuarsi prima della fioritura, mentre se il prodotto è destinato alla distillazione si deve raccogliere in piena fioritura. In ambedue i casi la pianta si falcia quasi a livello del terreno con la falciatrice meccanica. Il materiale verde si porta subito all’essiccatoio o alla distilleria evitando di tenerlo comunque ammucchiato, anche per breve tempo, perché subisce la cottura con grande facilità.
Le droghe richieste normalmente per l’erboristeria sono la pianta fogliare e le foglie monde.
Per ottenere erba essiccata consiglio di preparare innanzitutto il materiale verde con la massima sollecitudine, evitando così che il prodotto si riscaldi o anche soltanto si appassisca.
Quando l’erba è secca, si toglie subito dagli essiccatoi affinché non si decolori; il materiale secco è però di una fragilità estrema. Ad evitare che si polverizzi si deve provvedere a farlo leggermente “rinvenire” prima di rimuoverlo dall’essiccatoio ciò si può facilmente ottenere lasciando aperte le finestre del locale durante la notte (se vi è rugiada): oppure chiudendo ermeticamente il locale e spruzzando abbondantemente acqua sul pavimento e sui muri con una comune pompa irroratrice.
L’erba secca si fa poi stagionare per almeno un mese in masse alte circa un metro, evitando di rimuoverle, se non è proprio necessario; per evitare che si riscaldino si controlla ogni tanto la temperatura interna delle massette. Per la consegna si confeziona in balle pressate; per evitare lo sminuzzamento durante la pressatura far nuovamente “rinvenire” il prodotto esponendolo alla rugiada o meglio applicando sulle massette delle tele umide.
La droga “foglie monde” si ottiene invece operando la defogliazione degli steli verdi ed esponendo poi la foglia ai diretti raggi del sole in strati sottilissimi; normalmente bastano uno o due giorni per ottenere un’essiccazione completa e, essendo l’essiccazione molto rapida, la foglia conserva inalterato il colore verde e il profumo.
La foglia si può anche comodamente essiccare all’ombra negli essiccatoi razionali con telaini.
La foglia essiccata subisce trattamenti analoghi all’erba essiccata per evitarne la polverizzazione e viene infine confezionata in casse di legno rivestite di carta all’interno.
Talvolta si usa preparare la foglia monda dalla droga essiccata in mazzi per defogliazione della droga stessa, dopo averla inumidita per evitarne la polverizzazione; tale sistema, se eseguito con molte precauzioni e con cura, conduce ad un prodotto ottimo ed ha il vantaggio di permettere l’operazione di defogliazione (che richiede forte impegno di mano d’opera) nei momenti in cui il coltivatore è libero da altri pressanti lavori (ad esempio durante il periodo autunnale-invernale).
Per la distillazione, il raccolto, come ho già detto, deve essere effettuato quando la pianta è in piena fioritura, ed operando lo sfalcio al mattino poiché durante le ore calde il contenuto in essenza diminuisce sensibilmente. L’essenza è contenuta in tutte le parti della pianta ed in misura assai notevole; la resa alla distillazione in corrente di vapore oscilla infatti dal 3 al 5 %. Si ottiene così l’essenza greggia che, dopo aver subito la decantazione e la filtrazione, può essere posta in commercio come tele; per gran parte delle applicazioni industriali tuttavia l’essenza viene sottoposta ad una o più rettificazioni. Come ho già detto, l’essenza di Menta è molto richiesta, ma talvolta subisce notevoli oscillazioni di prezzo a causa dell’abbondanza della produzione che, in alcuni anni, è tale da condurre alla saturazione del mercato.
La resa in essenza per ogni coltura ha oscillato finora, nelle colture delle Marche che ho seguito, da un minimo di 25 kg ad una media di 45-50 kg con punte di 70 kg; tali dati possono essere ritenuti incoraggianti; i caratteri organolettici sono risultati sempre ottimi e l’essenza ha trovato sempre buon collocamento commerciale.
Se la stagione decorre favorevole, dopo il primo taglio di agosto si ha un secondo taglio in ottobre; generalmente il prodotto di questo taglio è riservato all’erboristeria perché il suo contenuto in essenza è più basso. E’ raro infatti che la pianta fiorisca per il secondo taglio.
In ottobre-novembre si prosegue poi all’estirpazione di rizomi per l’impianto delle nuove colture da rizoma, mentre per le colture da farsi con piantina a foglia occorre lasciare una superficie di circa 1/5 di ettaro come vivaio per ogni ettaro di coltura che si intenderà impiantare a primavera.
Fra le avversità da me riscontrate in merito alla coltivazione della Menta tengo a segnalare le seguenti:
1) Un’erba infestante, che è stata indentificata nell’Artemisia verlotorum Imte e che probabilmente è giunta nelle Marche insieme ai primi rizomi di Menta piperita importati dal Piemonte; infatti questa pianta non risultava prima d’ora nella flora marchigiana (Brilli e Cattarini).
L’Artemisia verlotorum ha rizomi assai simili a quelli della Menta e nel trapianto è quindi facile confonderla. Utili rimedi per estirparla sono: la propagazione della Menta (per almeno un anno) a mezzo di piantine fogliate; lavorazioni accurate del terreno ove è stata la Menta e mondature frequenti; evitare per alcuni anni di ripetere la coltivazione sugli appezzamenti infestati dall’Artemisia.
2) Un emittero, il Philaenus spumarius, che attacca i germogli delle piantine nel primo stadio dello sviluppo producendo l’accartocciamento e quindi l’essiccamento delle foglioline apicali; si combatte con notevole difficoltà in quanto gli insetticidi usati, se non si riesce ad eliminarli completamente in seguito, danneggiano assai il profumo dell’essenza.
Concludendo ritengo di poter asserire che la coltivazione della Menta è, fra le colture a forte reddito, quella che richiede la minore spesa di mano d’opera (specie se si coltiva per la produzione dell’essenza); occorre però disporre di un buon impianto di irrigazione e che nelle vicinanze esista una distilleria che si impegni al ritiro e alla distillazione del prodotto.
Attualmente la coltivazione della Menta piperita è praticata soprattutto nel Piemonte per la produzione dell’essenza.
La coltivazione è in pratica totalmente meccanizzata.
“O”
OLIVO (OLEA EUROPAEA L.)
Uso agricolo
l mercato erboristico richiede notevoli quantità di foglie di Olivo, che quasi sempre provengono da piante coltivate per la produzione dell’olio. Non sto a descrivere la pianta e la sua coltivazione, perché troppo note in Italia ove l’Olivo occupa superfici vastissime in quasi tutte le regioni del paese in cui il clima lo consente. Occorre però tener presente che le piante di Olivo normalmente coltivate sono sottoposte a numerosi trattamenti con insetticidi per combattere i numerosi parassiti, pertanto le foglie di queste piante non danno l’assoluta certezza di non essere inquinate.
Sono del parere pertanto che all’erboristeria dovrebbero essere indicati vecchi olivi sparsi oppure oliveti abbandonati; per rendere più comoda e facile la raccolta delle foglie le piante vanno tagliate basse, in modo da poter usare il prodotto dei numerosi ed abbondanti ricacci che anche piante secolari danno in grande quantità. L’essiccazione non presenta alcuna difficoltà ed il prodotto migliore si ottiene da foglia raccolta verde ed essiccata al riparo dal sole, ma spesso si trova in commercio foglia proveniente da rami tagliati ed essiccati; il prodotto così ottenuto però ha un colore più scuro ed è meno ricco di principi attivi.
OLMARIA (FILIPENDULA ULMARIA MAXIM.)
Nei luoghi decenni di attività nella nostra azienda agricola non avevano mai avuto richieste di fiori o sommità di questa pianta, nota anche con i nomi di Filipendula, Spirea e regina dei prati; soltanto nel febbraio del 2000 ci è pervenuta questa richiesta, che sembra dovuta al fatto che il raccolto della produzione spontanea del 1999 sarebbe stato scarso. Questa rosacea cresce in Italia nei prati delle Alpi ed il prodotto in commercio è costituito soprattutto da sommità fiorite raccolte in estate e raramente da fiori e foglie. Non siamo in grado di riferire circa l’esito degli esperimenti in corso presso la nostra azienda; siamo invece in grado di mettere in evidenza quanto ci ha comunicato gentilmente il dott. Sauro Buffi che dirige attualmente “Il giardino delle Erbe” di Casola Valsenio, fondato da Augusto Rinaldi Ceroni. Presso il Giardino delle Erbe sono state effettuate molte esperienze di coltivazione dell’Olmaria, che Sauro Biffi così riferisce:
“La pianta predilige terreni sciolti, freschi, ben soleggiati. L’impianto può essere eseguito a fine inverno-inizio primavera o in autunno inoltrato. La semina diretta in campo non è sempre consigliata per via della lenta germinabilità del seme. La densità adottata è stata di 8 piante per m²; 1000 semi pesano 0,6 grammi. Per facilitare la germinazione si potrebbe porre il seme di Olmaria in acqua tiepida per 12-24 ore e quindi seminarlo in letti riscaldati in seminiere. Il seme dovrebbe così germinare dopo 15-20 giorni al massimo. La raccolta delle sommità fiorite avviene durante l’estate mediante l’impiego di barre falcianti o falciacaricatori. Dopo lo sfalcio è consigliabile una irrigazione per stimolare il ricaccio della pianta. La ripresa vegetativa in primavera è piuttosto lenta e si consiglia di iniziare il diserbo delle infestanti appena queste compaiono, affinché non vadano a rallentare lo sviluppo dell’Olmaria. Non sono state fatte esperienze di coltivazione con l’impiego di materiale pacciamante, mentre il diserbo col solo sfalcio delle erbacce è sconsigliato. Non sono state riscontrate patologie particolari, ad eccezione di alcuni attacchi di afidi durante la fioritura”. Questi sono i consigli del dott. Sauro Biffi, a cui nulla abbiamo da aggiungere; per quanto riguarda la convenienza economica della coltivazione occorrerà seguire l’andamento dei mercati, tenendo conto dei costi di produzione.
ORIGANO (ORIGANUM VULGARE L.)
Labiata erbacea perenne di facile coltura; la coltivazione è in tutto simile a quella della congenera Magiorana (Origanum majorana L.) e la scelta del terreno non presenta particolari difficoltà; occorre però che esso sia permeabile e ben lavorato. Come per tutte le colture perenni è assai importante che il terreno sia esente da erbe infestanti, le quali renderebbero assai costoso il diserbo manuale della coltivazione. L’Origano si riproduce per semina in maggio-giugno in vivaio e successivo trapianto a dimora, in autunno, su file distanti circa mezzo metro, con un intervallo di circa 30 cm fra pianta e pianta; sono stati fatti anche esperimenti di semina diretta a dimora con esito abbastanza soddisfacente, ma in tal caso occorre poter disporre di eventuali irrigazioni di soccorso qualora la stagione primaverile-estiva avesse un decorso particolarmente asciutto.
Per ottenere le sommità fiorite si effettua il taglio all’inizio della fioritura e si procede all’essiccazione all’ombra; se la stagione decorre favorevole si ha un secondo taglio in agosto-settembre, ma il prodotto in questo caso risulta meno aromatico. La richiesta di Origano è assai notevole a causa del suo larghissimo uso come condimento, le quotazioni sono in linea di massima buone e abbastanza costanti.
ORTICA (URTICA DIOICA L.)
Uso medicinale e agricolo
Il mercato erboristico richiede ogni anno maggiori quantità di prodotti derivanti da questa pianta, foglie, erba tagliata e radice; pertanto, sebbene la pianta sia assai diffusa ed abbondante allo stato spontaneo, si ricorre alla coltivazione . La coltivazione non presenta alcuna difficoltà, basta osservare i terreni prescelti dalla pianta spontanea ed il suo notevole sviluppo per rendersene conto.Si possono adibire alla coltivazione dell’Ortica terreni abbandonati di collina, purché freschi, ombreggiati almeno parte del giorno e molto ricchi di sostanza organica.Il sistema di riproduzione più semplice è quello di ricorrere alle piante spontanee di cui si dividono i cespi che poi si interrano; si può ricorrere anche alla riproduzione da seme. L’essiccazione dei prodotti si effettua all’ombra e nel maneggiarli occorre tener presente le proprietà fortemente irritanti dell’erba allo stato verde.
“P”
PAPAVERO DA OPPIO (PAPAVER SOMNIFERUM L.)
Prima della guerra, in periodi d’autarchia, fu tentata presso varie aziende delle Marche questa coltura per la produzione delle capsule; da quanto mi risulta però il prodotto fu così povero di principi attivi che non fu neppure ritirato dall’ente statale che ne aveva ordinato la coltivazione. Gli agricoltori presero così, anche in quella occasione, una delle solite “fregature”. Mi ricordo che, al ritorno dalla guerra, ebbi modo di vedere nei magazzini di alcuni agricoltori sacchi di capsule di papavero abbandonate da anni; i topi avevano bucato tutti i sacchi e forse avevano trovato in quelle capsule qualche seme da mangiare; così furono i primi tossicodipendenti d’Italia.
PASSIFLORA INCARNATA (PASSIFLORA INCARNATA L.)
Uso medicinale
Passifloracea originaria degli Stati Unite d’America, ottimamente acclimatata da noi; io coltivo questa pianta nelle Marche da circa trent’anni.
Mia figlia Alix sostenne la tesi di laurea in scienze naturali nel 1975 sul seguente argomento: “Esperienze sulla coltivazione e sulla preparazione nelle Marche della droga di Passiflora incarnata L.”; la tesi fu pubblicata negli annali dell’Università di Ferrara. La prima coltivazione sperimentale fu da me impiantata con semi fornitimi dall’Orto Botanico dell’Università di Bologna; la coltivazione si è poi ampliata ricoprendo la superficie di alcuni ha.E’ pianta perenne, ma durante l’inverno la parte aerea muore; la pianta cresce poi di nuovo a primavera dalle radici e dai rizomi che affondano nel terreno e si diramano largamente. Predilige terreni ben esposti, ben lavorati, freschi o irrigabili, ricchi di humus e ben concimati; occorre assolutamente evitare ristagni d’acqua nel periodo invernale e pertanto i terreni debbono essere ben drenanti.
Il terreno d’impianto deve essere privo di malerbe sia perenni che annuali e ciò si ottiene con opportune rotazioni agrarie ed usando diserbanti sulle coltivazioni che precedono la Passiflora; quest’ultima infatti non sopporta il diserbo e la coltivazione deve essere tenuta ben pulita esclusivamente con l’uso di mezzi meccanici. La nascita del seme si protrae a lungo e la crescita delle piantine è in principio assai lenta; occorre intervenire ripetutamente con sarchiature, irrigazioni e nitratazioni. In agosto si ha la fioritura e l’inizio della fruttificazione; a questo punto si effettua il taglio dell’erba che deve essere essiccata all’ombra. Nei successivi anni di coltivazione si avranno due raccolti, uno in luglio e l’altro in settembre; il secondo sfalcio dà un prodotto meno abbondante, ma con un ottimo contenuto di principi attivi. La merce ben essiccata deve essere posta in locali freschi ed asciutti per la stagionatura, che consiglio di protrarre a lungo per rendere più omogeneo il prodotto. Infine si provvede alla pressatura ed alla confezione in balle della merce per la commercializzazione. La coltivazione della Passiflora incarnata, particolarmente fiorente nelle Marche, è ora in crisi a causa della concorrenza estera.
PIRETRUM DI DALMAZIA (CHRISANTHEMUM CINERARIAEFOLIUM VIS. E PYRETHRUM CINERARIAEFOLIUM TREV.)
Uso agricolo
Il Piretro di Dalmazia è pianta di grande importanza industriale per le sue proprietà insetticide; con i suoi fiori polverizzati viene infatti preparata la nota polvere insetticida detta”razzia”, mentre i principi attivi di questa pianta, le “piretrine”, formano la base di moltissimi insetticidi per uso domestico, agricolo e veterinario. Infine recente esperienze hanno dimostrato che le piretrine hanno notevoli proprietà antielmintiche, motivo per cui l’uso del Piretro è entrato anche nella pratica farmaceutica. Date le numerose ed importanti applicazioni sopra elencate, questa pianta viene ormai da più di mezzo secolo coltivata su vasta scala. Gli Stati grandi produttori di Piretro sono principalmente il Giappone e la Iugoslavia (donde il nome Piretro di Dalmazia), ma anche in Italia, Francia, Spagna, Australia ecc. la coltivazione di questa pianta si va diffondendo. Il consumo interno italiano si aggirava, prima della guerra, sui 15000 quintali annui, mentre la produzione interna era di appena 2500 q prodotti in massima parte nelle nostre province orientali. L’Italia si trova quindi attualmente a dover importare, si può dire, totalmente dall’estero il proprio ingente fabbisogno di Piretro. In considerazione di quanto sopra esposto appare chiaro come sia conveniente impiantare in Italia su più vasta scala la coltivazione di questa pianta, dato che le prove effettuate finora in Romagna, Toscana, Sicilia, Puglia ecc. hanno dimostrato la coltura essere abbastanza facile ed economicamente conveniente.
Specie nelle Marche, che tanta analogia di clima e di terreno presenta con la opposta sponda dalmata dell’Adriatico, territorio di origine del Piretro; questa coltivazione dovrebbe trovare ottime condizioni per un notevole sviluppo. Quello che asserivo allora non risponde però più alle condizioni attuali in quanto i moderni insetticidi hanno sostituito quasi completamente il Piretro: di conseguenza la richiesta della droga è assai debole ed i prezzi sono scesi a livelli molto bassi.
La coltura del Piretro di Dalmazia quindi, nelle condizioni attuali non è più consigliabile, anche le coltivazioni da me impiantate nelle Marche vengono gradualmente abbandonate. Poiché però non si può escludere a priori una futura ripresa del consumo della droga ritengo utile fornire, sia pure per sommi capi, le indicazioni necessarie per la coltivazione di questa pianta.
Il Piretro di Dalmazia è pianta perenne della famiglia delle composite, che predilige i climi temperati e asciutti e che vegeta bene sui terreni calcarei di collina e di montagna (fino a 1000-1200 m s.l.m.) anche se asciutti, ciottolosi e poveri, purché ben esposti al sole; si prestano egregiamente per questa coltivazione i versanti a mezzogiorno ed a levante del nostro Appennino e delle colline calcaree della zona sub-montana. La coltivazione è abbastanza facile perché la pianta è assai robusta, vive e prospera, come ho detto, nei terreni più ingrati, richiede scarsa concimazione; inoltre la coltura, una volta impiantata, dura assai a lungo (8-10 anni) e non richiede eccessivo lavoro per il mantenimento.
La riproduzione del Piretro si può fare per seme (seminando direttamente a dimora in marzo o in ottobre, oppure seminando in semenzaio in maggio con successivo trapianto a dimora in ottobre) o per divisione dei cespi (ogni pianta opportunamente interrata può dare per divisione circa 20 nuove piantine). Sul terreno le piante debbono trovarsi a 40 cm in quadro, ma questa distanza non è assolutamente fissa dovendo essere aumentata o diminuita a seconda della qualità del terreno e del conseguente sviluppo che assumerà la vegetazione.
Prima della semina a dimora o del trapianto il terreno deve essere arato e lavorato come per le normali colture del grano, granoturco, ecc., concimando moderatamente con concimi fosfatici e azotati; durante la buona stagione occorre effettuare qualche sarchiatura ed estirpare le malerbe; ogni anno poi è bene ripetere a primavera una leggera concimazione di copertura a base di estratti vegetali, generalmente a base di nitrato, solfato amminico e perfosfato. Il Piretro fiorisce normalmente all’inizio della stagione calda (magio-giugno) dando numerosissimi capolini dall’aspetto di margherite; se la stagione è favorevole si può avere anche una seconda fioritura, quella che generalmente dà la maggior parte del prodotto.
Nel primo anno la fioritura è scarsa, più abbondante il secondo anno, mentre al terzo raggiugne il massimo ed a tale livello si mantiene per molti anni, specie se la coltivazione viene ben curata ed il terreno mantenuto asciutto durante la cattiva stagione in modo che non abbiano a svilupparsi parassiti delle radici, che danneggiano fortemente la coltura.
La raccolta dei fiori si fa quando essi sono ancora in gran parte non completamente sbocciati operando una “pettinatura” delle piante con appositi pettini di metallo, oppure tagliando le sommità fiorite della pianta ed effettuando la cernita dei capolini in un secondo tempo. L’essiccazione si fa stendendo i fiori su teli (possono servire benissimo i greticci per banchi da seta ricoperti con tela di sacco) in strati sottili (2-3 cm) ed avendo cura che i locali in cui si opera l’essiccazione siano asciutti ed arieggiati. Il prodotto viene poi tenuto a stagionare in locali arieggiati, in cumuli di circa mezzo metro di altezza che vanno rimossi spesso. Il prodotto si confeziona infine in “bisacce” e in tal modo è pronto per la consegna all’acquirente. Durante le varie manipolazioni del prodotto secco si tenga ben presente che la polvere di Piretro ha un’azione fortemente irritante sulle mucose nasali e delle prime vie respiratorie; si operi quindi con cautela per sollevare il meno possibile di polvere, si lavori in locali ventilati e per breve tempo. La produzione delle colture da me seguite ha oscillato fra i 1000-1200 kg/ha di “fiori secchi”, produzione abbastanza notevole se si tiene conto del fatto che alla coltura del Piretro sono stati riservati terreni siccitosi, poveri e praticamente inadatti a qualsiasi altra coltura.
Data la ormai ampiamente dimostrata tossicità di molti insetticidi sintetici, si verifica attualmente un notevolissimo consumo di Piretro dopo un lungo periodo di abbandono.
Ora la produzione è localizzata soprattutto in Africa , ove il basso costo della mano d’opera consente di produrre estratto di Piretro a costi competitivi; io però ritengo, e l’ho ripetuto in molte occasioni, che la coltivazione del Piretro potrebbe essere ottimamente praticata anche da noi, purché essa venisse completamente meccanizzata e l’estrazione delle pietrine venisse effettuata in stabilimenti localizzati nella stessa zona di coltivazione. Attualmente in Australia sono in corso importantissime colture di Piretro che forniscono prodotti di ottima qualità.
PSILLIO (PLANTAGIO PSYLLIUM L.)
Pianta autunnale facilmente coltivabile anche nei terreni più poveri purché leggeri e ben esposti. Si semina direttamente a dimora in marzo in file distanti circa 30-35 cm. La raccolta si effettua in agosto, recidendo con la falciatrice le piante al piede e ponendo poi l’erba ad essiccare sull’aia in pieno sole.
L’estrazione del seme si fa ottimamente con una comune trebbia per semi minuti; il seme non risulta mai completamente secco e quindi deve essere tenuto in locali asciutti (ad es. solai), disteso in strato sottilissimo sul pavimento e rimosso fino a completa essiccazione. Attualmente il prezzo del seme di Psillio è piuttosto basso e la coltura scarsamente conveniente (si nota una modesta ripresa della richiesta per uso lassativo).
“R”
RABARBARO CINESE (RHEUM OFFICINALE L.) – RABARBARO RAPONTICO (RHEUM RHAPONTICUM E RHEUM UNDULATUM L.)
Ebbi alcuni semi di Rabarbaro cinese ottenuti dal prof. Giuseppe Lodi dalle sue piante di Madonna dell’Acero; le piantine furono messe a dimora nella zona dei Monti Sibillini, ma morirono per incuria del coltivatore prima di raggiungere il completo sviluppo; non ho quindi alcun dato relativo a questa coltura.
Più interessante invece si è dimostrata la coltivazione del Rabarbaro rapontico, che è stata effettuata in varie zone dell’alta collina maceratese. La produzione è risultata abbastanza abbondante ed il prodotto di buona qualità, le colture però sono state in seguito abbandonate data la scarsa convenienza economica, dovuta al basso prezzo della droga sul mercato.
RICINO (RICINUS COMMUNIS L.)
Prima della guerra (quando c’era una forte richiesta di olio di ricino per la lubrificazione dei motori degli aerei e di conseguenza il prezzo del seme era elevato) il Ricino fu coltivato nelle Marche su scala relativamente vasta.
Dopo oltre quarant’anni di abbandono questa coltura è stata ripresa ora in forma sperimentale, dati la notevole richiesta del prodotto ed i prezzi interessanti. Sono state effettuate prove con diverse varietà di Ricino di provenienza estera ed alcune di esse lasciano intravedere possibilità di successo; ritengo però che ci sia ancora molto da fare per mettere a punto un sistema di coltivazione largamente meccanizzata, in modo da rendere il prodotto italiano competitivo con quello attualmente importato.
RUTA (RUTA GRAVEOLENS L.)
Uso medicinale
Pianta assai rustica, coltivata comunemente negli orti di tutte le Marche. La coltivazione non presenta alcuna difficoltà ed è in tutto analoga a quella di altre piante perenni (ad es. Salvia sclarea); la riproduzione avviene per seme.
In commercio sono richieste sia la pianta essiccata che l’essenza, ma attualmente la produzione da piante spontanee è più che sufficiente a coprire il fabbisogno; pertanto la coltivazione è, secondo il mio parere, sconsigliabile. Attualmente mi risulta sia coltivata in Piemonte su modeste superfici che producono poche decine di quintali.
“S”
SALVIA SCLAREA (SALVIA SCLAREA L.)
Uso medicinale e agricolo
Labiata perenne, che in Italia si trova spontanea nei luoghi aridi dal mare alla collina in quasi tutte le regioni, ma non frequente (Lodi); nelle Marche l’ho trovata spesso nella zona di Cingoli, Cesi, Ussita, Serravalle, ecc., ma sempre in quantità tanto trascurabile da renderne assolutamente non conveniente la raccolta.
La coltivazione della Salvia sclarea è stata fra le prime da me sperimentate e da molti anni essa aveva assunto un certo sviluppo; la notevole richiesta dei prodotti sia erboristici che essenzieri ed i prezzi abbastanza remunerativi, che finora erano stati praticati dagli acquirenti, facevano sperare in un ulteriore ampliamento di questa coltura; essa però è soggetta a frequenti crisi di sovrapproduzione per cui i prezzi dei prodotti erboristici diminuiscono ed il mercato dell’essenza è poco costante. La Salvia sclarea si coltiva abbastanza facilmente sui più svariati tipi di terreno, ma preferisce quelli di medio impasto, sia di piano che di collina; detti terreni debbono essere lavorati profondamente ed abbondantemente concimati con concimi a base di sostanze naturali. Una buona formula di concimazione può essere la seguente: perfosfato 6 q, solfato ammonico 2,5 q, potassici 2 q, nitrati 0,5 q all’impianto della coltura, nitrati 1 q in più volte in copertura. Tale concimazione dovrà essere ripetuta, ma assai più ridotta, anche negli anni successivi. Molti autori consigliano di effettuare la semina della Salvia sclarea direttamente a dimora; esperimenti da me fatti con questo sistema hanno dato però esito assai poco soddisfacente; pertanto sono del parere che convenga ricorrere alla semina in semenzaio e al successivo trapianto a dimora.
Si semina in semenzaio in piena terra nei mesi di giugno-luglio; il terreno dovrà essere irrigato lo stretto necessario allo scopo di ottenere piante robuste e con un sistema radicale assai sviluppato. Le piantine si tolgono poi dal semenzaio in autunno (da settembre a novembre).
Il trapianto si effettua servendosi di una trapiantatrice meccanica e facendo molta attenzione affinché la radice sia ben disposta nel terreno. Le piantine vengono messe su file distanti 50-80 cm ed alla distanza di 30-40 cm sulla fila: queste distanze dipendono dalla maggiore o minore fertilità del terreno e dal conseguente sviluppo che potrà assumere la vegetazione. Specie nel primo anno di coltivazione le cure colturali debbono essere molteplici e condotte con molta attenzione; frequenti le nitratazioni. Nel periodo primaverile la pianta deve essere portata rapidamente al massimo sviluppo, per ottenere fin dal primo anno una forte produzione di sommità fiorite. In giugno la pianta fiorisce dando grandi infiorescenze con brattee di colore variante dal rosso cupo all’azzurro chiaro a seconda delle varietà. La raccolta deve essere effettuata nel periodo balsamico, che varia a seconda dell’uso al quale è destinato il prodotto: infatti per l’erboristeria si debbono raccogliere le infiorescenze a fioritura appena iniziata, mentre per la distillazione dell’essenza è conveniente una raccolta più tardiva.
Le infiorescenze si staccano dalla pianta a mano o con falciatrici, essendo il fusto assai fragile in corrispondenza dei nodi; per l’erboristeria si raccoglie l’infiorescenza intera con due foglie basali, mentre per la distillazione dell’essenza si raccoglie la sola infiorescenza con le brattee, ciò per evitare che nel materiale da distillare si trovino le foglie; è infatti ormai provato che le foglie danno una resa minima in essenza, mentre danneggiano con il loro aroma più aspro le caratteristiche dell’olio essenziale.
Il prodotto appena raccolto si porta all’essiccatoio o alla distilleria, facendolo sostare sui carri il più breve tempo possibile per evitare la cottura.
In attesa dell’utilizzazione esso deve essere disposto in strati sottili ed in luoghi freschi, al riparo dai raggi diretti del sole.
Molta importanza, specie per la resa in essenza del prodotto, ha non soltanto il periodo balsamico della raccolta, ma altresì l’ora della giornata in cui questa raccolta viene effettuata.
Infatti l’essenza si accumula fra la parte della cellula secretrice e la cuticola, in vescicole esterne; l’aumento della temperatura, la compressione e la conseguente fermentazione bastano a produrre la rottura della cuticola della vescicola e la perdita dell’essenza. Per questi motivi io consiglio di effettuare la raccolta della Salvia sclarea (come in genere di tutte le piante aromatiche) la mattina presto, non appena scomparsa la rugiada, o la sera dopo il tramonto, evitando nella maniera più assoluta le ore calde della giornata.
L’essiccazione del prodotto deve essere effettuata all’ombra, in locali ampi, arieggiati ed oscuri (la luce solare danneggia assai l’aspetto del prodotto); le infiorescenze debbono essere disposte appese in mazzi piccoli, o distese su telai, per permettere all’aria di circolare. Si tenga presente che la Salvia sclarea si deteriora con molta facilità se l’aria del locale di essiccazione risulta anche soltanto leggermente umida; a ciò si può ovviare con la notevole ventilazione sopra detta o con il riscaldamento del locale qualora anche l’aria esterna fosse carica di umidità.
Chi si accinge a coltivare la Salvia sclarea per l’erboristeria deve pertanto assicurarsi di avere i locali sufficienti e idonei per l’essicazione; deve altresì tener presente che l’epoca della raccolta coincide in genere con quella del frumento (quando i coltivatori sono già oberati di lavoro) e di conseguenza la coltura deve essere tenuta su superfici relativamente limitate.
Il prodotto essiccato completamente si toglie poi dai sostegni (che vengono utilizzati per il prodotto del 2° e 3° raccolto) e si pone a stagionare in locale idoneo, ammucchiandolo in massette di circa un metro di altezza; le massette vanno seguite attentamente e rimosse se si nota un inizio di riscaldamento; la stagionatura deve durare almeno 15 giorni, dopo di che il prodotto è pronto per essere imballato. Prima di procedere all’imballaggio è bene effettuare una cernita accurata, dividendo il prodotto in quattro qualità.
Prima qualità: infiorescenze raccolte a tempo balsamico esatto e perfettamente conservate.
Seconda qualità: infiorescenze raccolte a tempo balsamico leggermente oltrepassato (ciò che si può facilmente verificare osservando la parte più bassa dell’infiorescenza, che in questo caso appare quasi priva di corolle) e perfettamente conservate.
Terza qualità: infiorescenze raccolte a tempo balsamico decisamente oltrepassato (il che si consta facilmente a causa della presenza di semi nella droga) e ben conservate.
Ultima qualità: infiorescenze comunque alterate nel colore o nel profumo, ma non ammuffite, perché il prodotto ammuffito è completamente inutilizzabile e deve essere eliminato.
Il prodotto stagionato e cernito viene fatto leggermente “rinvenire”, esponendolo per una notte alla rugiada oppure bagnando moderatamente con acqua le pareti ed il pavimento del locale di stagionatura; in tal modo diviene meno fragile e può essere facilmente compresso in balle. In genere dopo il raccolto di giugno (che viene effettuato a più riprese man mano che le infiorescenze raggiungono il periodo balsamico) si hanno un secondo e talvolta un terzo raccolto in luglio-agosto di infiorescenze più piccole provenienti dai germogli laterali dei fusti.
Ultimata la raccolta delle infiorescenze, si deve tagliare la pianta alla base per evitare l’emissione dai fusti di esili germogli, che esaurirebbero l’energia della pianta e resisterebbero difficilmente durante l’inverno successivo; la pianta tagliata emette invece i germogli dalla base e dà luogo alla formazione di un bel cespo di foglie da cui si svilupperanno nell’anno successivo i fusti fioriferi.
La pratica del taglio a fine stagione non mi risulta sia consigliata da altri autori: io invece la ritengo essenziale per il buon andamento della coltura e la pratica mi ha confermato in questa convinzione.
Una coltivazione di Salvia sclarea dura in media 3 anni; non conviene tenerla oltre questo limite, perché la produzione dopo il terzo anno declina rapidamente, specie nei nostri terreni argillosi.
Negli inverni fra il primo e il secondo anno e fra il secondo e il terzo occorrerà procedere ad una accurata lavorazione del terreno ed allo spargimento dei concimi fosfatici ed azotati.
Ove particolari condizioni di rotazione culturale o altri motivi contingenti lo consiglino, la Salvia sclarea si può anche coltivare come annuale: occorre in tal caso però sfruttare al massimo la coltura abbondando in concimazioni, specialmente organiche ed azotate.
La produzione delle infiorescenze secche è molto variabile a seconda della feracità del terreno e delle cure colturali prodigate alla pianta; la qualità del prodotto, ripetiamo, dipende dalla raccolta effettuata nel momento giusto (completa fioritura) e dall’essicazione effettuata con cura. Noi abbiamo riscontrato in genere una produzione superiore ai 20 q per ettaro di infiorescenze secche in coltivazioni su terreni normali fina dal primo anno di coltura, ma spesso si sono raggiunti ed anche superati i 40 q per ettaro in coltivazioni effettuate su terreni fertili e con le cure sopra indicate. La produzione dell’essenza varia molto a seconda delle caratteristiche del terreno e dell’andamento stagionale; nelle nostre zone essa oscilla fra i 10 ed i 15 kg di essenza ad ettaro, raggiungendo talvolta punte di 20 kg/ha; la resa percentuale delle infiorescenze fresche varia dallo 0,08% allo 0,2%, raramente raggiunge lo 0,25%.
La pianta è molto rustica e non presenta malattie o parassiti degni di nota; nei molto anni di coltivazione da me effettuata ho notato soltanto quanto segue:
1) attacchi di peronospora alle piantine in semenzaio in settembre, se la stagione decorre particolarmente umida; si combattono facilmente con irrorazioni di poltiglia bordolese;
2) qualche danno apportato dalle lumache nell’autunno dell’impianto a dimora o nella successiva primavera, anche questo facilmente ovviabile con opportuni trattamenti;
3) infestazioni di acari in autunno sui nuovi germogli, ma anche questi con danni di portata limitatissima. I prodotti erboristici e l’essenza hanno numerose applicazioni in liquoreria ed in profumeria.
Attualmente la richiesta è scarsa e la coltivazione si limita a superfici molto limitate.
SAMBUCO (SAMBUCUS NIGRA L.)
Uso medicinale e agricolo
Arbusto assai comune nei luoghi incolti in tutta la regione, in alcune località è anche abbondante. Sono molto richiesti i fiori (sia infiorescenze intere che fiori mondi), meno le foglie. Da quanto mi risulta il prodotto spontaneo, sia nazionale che di importazione, è sufficiente per ora a sopperire alle richieste del mercato; ricorrendo al prodotto spontaneo si hanno però notevoli spese per la raccolta.
Ho pertanto ritenuto utile effettuare qualche prova di coltivazione, che non presenta particolari difficoltà. La pianta si riproduce assai facilmente in vivaio per talea semilegnosa e si trapianta poi a dimora nel periodo invernale come qualsiasi pianta forestale a foglia cedua.
Per la coltivazione del Sambuco si possono usare terreni difficilmente utilizzabili per altre colture e la piantagione di questo arbusto contribuisce anche al consolidamento delle scarpate.
E’ conveniente effettuare la coltivazione su file assai distanti le une dalle altre, per poter consentire il passaggio dei mezzi meccanici sia durante le operazioni colturali che durante la raccolta.
Se gli arbusti sono curati diventa molto più facile di quella effettuata su piante spontanee e ciò con una notevole riduzione dei costi. I fiori, essiccati all’ombra in modo che conservino un bel colore ed un gradito profumo, vengono poi posti in commercio in grandi sacchi di iuta in cui vengono disposti senza eccessiva compressione.
STRAMONIO (DATURA STRAMONIUM L.)
Uso medicinale
Molti dei testi da me consultati riportano questa solanacea annuale fra le piante officinali la cui coltivazione sarebbe consigliabile. Io ho effettuato qualche coltura sperimentale di Stramonio e la riuscita della coltivazione è stata magnifica, lo sviluppo delle piante superbo; la droga poi è risultata ottima sotto ogni aspetto. La coltura dello Stramonio ha però un inconveniente tutt’altro che trascurabile, cioè comunque effettuata, anche nelle migliori condizioni di clima e di terreno, risulta costantemente passiva: il prezzo del prodotto infatti, per la grande abbondanza del prodotto spontaneo, è assai basso.
Da quanto mi risulta l’industria farmaceutica richiede attualmente modesti quantitativi di altre specie di Datura per la preparazione di estratti in sostituzione di prodotti più tossici; non ho mai effettuato colture di tali specie. La droga proviene attualmente da importazione.
“T”
TARASSACO (TARAXACUM OFFICINALE WEB.)
Uso medicinale e agricolo
Composita comunissima in tutta la regione dal mare ai monti, nei campi, nei prati e nei luoghi incolti. La coltivazione si effettua seminando a primavera, direttamente a dimora, alla distanza di circa 20-25 cm e ricoprendo il seme con pochissima terra; la germinazione è pronta; la pianta è assai rustica e non richiede particolari cure colturali, essendo sufficienti le normali sarchiature e qualche nitratazione. La pianta è perenne, ma non è conveniente tenere la coltivazione in campo più di due anni.
Del Tarassaco si utilizzano: 1) le radici e le foglie per l’erboristeria; 2) le foglie allo stato verde come verdura commestibile; 3) il seme che è assai richiesto dalle ditte produttrici di sementi da orto.
Se è possibile organizzare la coltivazione in modo da poter sfruttare tutti e tre i prodotti sopra citati, ritengo che possa risultare conveniente; in caso contrario essa risulta di reddito piuttosto basso.
TIGLIO (DIVERSE SPECIE DEL GENERE TILIA)
Non sto a descrivere questo grande albero a tutti noto, coltivato ovunque in viali, parchi, giardini, ecc. In erboristeria è molto richiesto il “fiore” di Tiglio, che è costituito dall’infiorescenza con relativa brattea; a seconda della specie di provenienza si hanno droghe a fiore semplice o a fiore doppio (i fiori doppi sono i più diffusi). Da quanto mi risulta, il forte fabbisogno di Tiglio è attualmente coperto dal prodotto delle piante coltivate a scopo ornamentale e non solo da piante coltivate in parchi lontani dalle città, ma purtroppo anche da piante coltivate in città, ove l’aria è inquinata, e lungo viali ove intenso è il traffico di automezzi.
E’ così possibile trovare in commercio partite di droga che non rispondono ai requisiti di purezza necessari. Sarebbe pertanto, a mio parere, auspicabile la coltivazione di questa pianta a scopo erboristico in ambienti adatti, ma ciò comporta un lungo discorso circa la varietà da selezionare, i programmi forestali da seguire e tanti altri argomenti, che non possono trovare posto in questo modesto manuale; a me basta aver accennato al problema, che certamente in avvenire andrà affrontato e (forse) risolto.
“V”
VALERIANA (VALERIANA OFFICINALIS L.)
Uso medicinale
La pianta si trova allo stato spontaneo nelle valli dei nostri Appennini, ove l’ho trovata sempre però in quantità non rilevanti, fatta eccezione per una zona limitata della valle del torrente Ussita in cui la Valeriana è abbondante. Con rizomi ricavati appunto dalle piante spontanee della valle dell’Ussita sono state impiantate alcune colture che, dallo stadio sperimentale, si stanno avviando verso quello della coltura su scala più vasta. Dalle colture sopra indicate ho potuto dedurre finora i dati relativi alla coltivazione di seguito elencati.La Valeriana si coltiva come pianta annuale; essa richiede terreni molto freschi, di fondo valle, ombreggiati e sciolti. La riproduzione avviene mediante radici e rizomi che si mettono a dimora in autunno su solchetti distanti 35 cm e 8-10 cm sulla fila.In primavera vengono effettuate numerose sarchiature, scerbature e nitratazioni frequenti ed abbondanti (almeno 2 q di nitrato di calcio per ettaro ripartiti in varie volte).Le cure colturali sono analoghe a quelle della Menta piperita e così pure le concimazioni; l’irrigazione, se il terreno è veramente fresco, non è necessaria.Le radici vengono raccolte in autunno, lavate accuratamente in acqua corrente e poi essiccate all’ombra; dovendo usare il calore artificiale, regolarsi con la temperatura che deve essere sui 25 gradi. Questa coltura potrebbe avere importante sviluppo specialmente nella zona montana per l’utilizzazione di terreni di fondo valle; la droga è molto richiesta e ben quotata sul mercato.
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ZAFFERANO
Uso agricolo
Iridacea coltivata largamente in Abruzzo e in Sardegna; la coltura potrebbe essere effettuata vantaggiosamente nelle Marche in zone di alta collina e di montagna, ma fino ad oggi è rimasta limitata a piccolissime superfici. Si riproduce per mezzo dei bulbo-tuberi e viene coltivata come annuale. In montagna, ove lo sfruttamento del terreno non è intensivo, il ciclo della coltura, anziché annuale, può essere poliennale.Nelle nostre zone di collina lo Zafferano si coltiva come intercalare fra il frumento e una sarchiata estiva dell’anno successivo: i bulbi si tolgono dalla vecchia coltura a fine maggio o ai primi di giugno, quando le foglie cominciano ad appassire; si tengono per circa un mese in locali freschi ed arieggiati ed infine si mettono nuovamente a dimora in terreno di medio impasto, meglio se tendente al leggero. I bulbi si pongono in solchetti distanti fra loro circa 20 cm (ogni 4-5 solchetti si lascia uno spazio di 70 cm per il passaggio delle raccoglitrici), mettendo un bulbo-tubero ogni 5 cm circa ed in modo che si trovi a circa 10 cm di profondità, si ricopre con terra e, se necessario, si rulla leggermente. Le cure colturali consistono in alcune scerbature e in una leggera sarchiatura e nitratatura in autunno. La fioritura avviene in ottobre-novembre e dura in media 2 settimane: i fiori si raccolgono al mattino, non appena scomparsa la rugiada, e si pongono in cesti senza comprimerli.Segue l’operazione più importante, che consiste nella separazione degli stimmi dal resto del fiore, che è inutilizzabile; questo lavoro richiede un notevolissimo impiego di mano d’opera, che incide fortemente sul costo del prodotto.
L’essiccazione si fa su telaini di garza esposti al calore diretto di un focolare, in modo che essa risulti il più possibile rapida; dopo breve stagionatura in locale asciutto gli stigmi (che debbono essere di un bel colore rosso) vengono posti in recipienti a chiusura ermetica e sono pronti per la vendita. Lo Zafferano ha numerose applicazioni in medicina, ma il maggior consumo è determinabile dall’uso che se ne fa come condimento (risotto alla milanese, brodetti di pesce, ecc). Il prezzo dello Zafferano è assai elevato, la resa ad ettaro si aggira sui 7/9 kg/ettaro, ma, le spese per la raccolta dei fiori e per la separazione degli stigmi assorbono una parte notevolissima del reddito. Nonostante quanto ho detto sopra ritengo che questa coltura sia suscettibile di sviluppo, specie nelle zone montane, ove sono numerose le piccole aziende familiari le quali possono impiegare nei lavori di raccolta e di cernita la mano d’opera che nell’autunno avanzato ha praticamente ben poco lavoro da svolgere nell’ambito del fondo. Da quanto ci risulta attualmente la coltivazione dello Zafferano viene praticata in Abruzzo.
ZAFFERANONE (CARTHAMUS TINCTORIUS L.)
Pianta di origine africana acclimatata nelle Marche da tempo immemorabile e coltivata nella zona costiera per la produzione della droga (costituita dai petali e dagli stami) che è largamente usata come condimento, specie nei “brodetti” di pesce. La pianta è annuale e si riproduce per semina effettuata direttamente a dimora nel mese di marzo.La coltivazione è in tutto uguale a quella delle altre piante officinali annuali riprodotte per semina diretta in campo (ad es. Giusquiamo e Santoreggia).
La raccolta si effettua a mano strappando dai calici i petali e gli stami; l’operazione deve essere effettuata di primo mattino, perché poi col caldo i calici si serrano strettamente e rendono pressoché impossibile la raccolta. L’essiccazione del prodotto si effettua all’ombra, su telaini simili a quelli usati per la Camomilla. Ho constatato che la raccolta è resa assai difficile dal fatto che gli involucri dei capolini sono muniti di acutissimi aculei che trafiggono continuamente le dita delle raccoglitrici. Pertanto sarebbe utile la selezione di una varietà di Zafferanone inerme.