Un suolo è fertile quando è idoneo a ospitare piante favorendo il loro sviluppo ottimale. Scrive il botanico e agronomo inglese Albert Howard (1873-1947) in Un testamento agricolo: “Fertilità è la condizione di un terreno ricco di humus in cui i processi di crescita delle piante sono rapidi, armoniosi ed efficienti; il termine fertilità implica, dunque, abbondanza, alta qualità e resistenza ai parassiti”.
La fertilità può essere analizzata sotto tre aspetti: fisico, biologico e chimico.
Si parla di fertilità fisica analizzando le particelle e la loro aggregazione in zolle di piccole dimensioni, mobili e resistenti; che permettono ad acqua e aria di circolare e alle radici di svilupparsi.
La fertilità biologica riguarda l’ospitalità del terreno per gli organismi viventi e quindi la presenza di acqua e aria a sufficienza e l’assenza di sostanze nocive.
La fertilità chimica infine riguarda l’analisi dei principi nutritivi presenti nel terreno. Il terreno può essere definito fertile se vi è presenza di principi nutritivi che favoriscono la crescita e lo sviluppo delle piante.
L’importanza della fertilità fisica e biologica
La fertilità biologica, ovvero la presenza di organismi terricoli, è responsabile della trasformazione del fertilizzante in humus e dell’humus in principi nutritivi. Questi organismi sono presenti in terreni ben ossigenati, con sufficienti quantità di acqua e di cibo, e depurati da sostanze tossiche. L’humus favorisce la presenza di questi elementi. Il nutrimento invece viene dai fertilizzanti, dalla decomposizione degli scarti del suolo e dalla produzione di sostanze degli organismi terricoli stessi.
Sia per lo sviluppo dell’humus che per ottenere una buona struttura del terreno la fertilità biologica è essenziale: gli organismi terricoli, e in particolare le loro deiezioni, favoriscono il rimescolamento del terreno e la sua fertilità fisica.
Test per determinare la fertilità del terreno: la “prova della vanga”
La “prova della vanga” permette di esaminare la fertilità del nostro terreno: analizzando attentamente un campione di terreno è possibile fare un confronto con lo stato ideale del terreno ed è possibile quindi ipotizzarne lo stato e valutare l’efficacia delle lavorazioni effettuate.
Si consiglia di fare questo tipo di test prima di cominciare a lavorare il terreno in quanto il livello di umidità del terreno dovrebbe essere medio (né troppo alto né troppo basso).
Le zone dove eseguire il test nel terreno variano a seconda che la coltura sia cresciuta in maniera uniforme o meno. Nel primo caso il luogo del prelievo è indifferente, nel secondo caso sarà bene esaminare sia il terreno dove c’è stata una buona crescita delle colture, che quello nel quale la crescita è stata inferiore.
Se invece il terreno è nudo si va a prelevare il terreno nelle zone potenzialmente più problematiche sotto il punto di vista del compattamento o semplicemente di cattiva struttura.
Si esegue anche nelle zone del campo nelle quali crescono erbe spontanee.
Con una vanga o una forca a denti piatti si preleva un pezzo di terreno dello spessore di 10 cm e 20-30 cm in profondità cercando di non deteriorarlo. La profondità del prelievo è essenziale per comprendere la presenza d’aria e di ricircolo adeguata o meno, e perché a questa profondità agiscono gli organismi terricoli.
Osservazioni sulla prova della vanga
Prima di eseguire il test è necessario raccogliere una serie di informazioni.
Si osserva prima di tutto la superficie del terreno, un’eventuale presenza di crepe indicherebbe che il terreno è secco e che ha buone percentuali di argilla. Se è presente una crosta il terreno non ama sollecitazioni sia prodotte dagli agenti atmosferici che dall’irrigazione.
La presenza di alghe o muschio sulla superficie invece è sinonimo di un terreno superficialmente compatto, zuppo d’acqua e con una cattiva aerazione. Anche la presenza di piccoli solchi è da analizzare ed annotare (segno negativo), la presenza di turricoli invece riguarda la presenza di lombrichi nel terreno ed è un buon segno così come piccoli fori in corrispondenza di terreno mosso.
E’ necessario osservare con attenzione anche le specie floreali spontanee presenti che ci possono rilevare ad esempio le caratteristiche del terreno (se presenti abbondantemente) : la presenza di azoto (ortica, stramonio, erba morella, senecione),
STRAMONIO
il grado di compattezza (piantaggine, Poa annua, Polygonum aviculare, gramigna),
POA ANNUA
la buona o cattiva struttura (se è buona si troveranno centocchio, veronica, galinsoga),
GALINSOGA
la presenza di limo (stoppione, camomilla, romice) o di sabbia (portulaca),
STOPPIONE
l’assenza di problemi di ristagno d’acqua (amaranto).
AMARANTO
Infine anche una bassa vigoria della flora è indicatore di un terreno problematico e che non favorisce lo sviluppo delle piante e che probabilmente è povero di organismi terricoli.
Un altro elemento da tenere sotto controllo è il tipo di resistenza che il terreno oppone alla vanga durante il prelievo: se si riesce facilmente ad affondare nel terreno la struttura sarà soffice e senza strati evidenti o compatti. Se risulterà difficile penetrare il terreno il terreno sarà invece compatto così come la struttura.
Infine se si riscontra un’opposizione discontinua nel terreno si potrà affermare che sono presenti degli strati e potrebbe essere presente una suola di lavorazione (strato che si forma alla profondità delle lavorazioni con il motocoltivatore e che talvolta impedisce il passaggio delle radici).
Si osserverà poi la forma e la distribuzione delle zolle. Con un coltello a lama flessibile si taglierà un piccolo strato di terra per rimuovere lo strato deformato durante l’operazione di prelievo. Saranno quindi visibili gli strati presenti, osservando spesso uno strato sottile superficiale, uno intermedio e uno inferiore.
Lo strato superficiale è molto sottile (circa 2 cm) e si presenta solitamente smosso e ricco di pori, altre volte può anche essere compattato e poco poroso.
Lo strato intermedio invece è lavorato e può a sua volta essere diviso in due strati. Infine lo strato inferiore non lavorato è solitamente diviso dagli altri dalla suola di lavorazione.
In ogni strato si possono osservare diverse caratteristiche: solitamente prevale un aggregato in particolare ma possono essere presenti più o meno radici o materiali come ghiaia o sassi così da poter valutare lo stato strutturale del terreno. Per avere una buona struttura ci dovranno essere degli aggregati piccoli e porosi e con pochi sassi o ghiaia.
Attraverso questo test è possibile anche valutare lo stato di umidità del terreno. Si procede cercando di sbriciolare la zolla di terra con le dita: se ci risulta impossibile il terreno sarà secco e quindi non lavorabile; se si riesce a sbriciolare il terreno con facilità il terreno è “in tempera” ed è pronto per le lavorazioni. Infine se tra le dita si deforma senza però sbriciolarsi è troppo umido e quindi non lavorabile.
Si può fare una stima dell’umidità anche con la vista individuando le zone più scure che saranno anche le più umide.
L’argilla, l’humus e i canali molto sottili aiutano il terreno a trattenere maggiormente l’acqua.
In un terreno coltivato solitamente si riscontra la presenza di humus in superficie e sempre meno via via che si scende in profondità, l’argilla invece resta presente in egual misura.
È importante analizzare anche le radici. Se si riscontra uno sviluppo omogeneo all’interno del campione significa che si ha una buona situazione e che il terreno è equilibrato e ospitale. Se si riscontrano radici molto fini e deboli però significa che ci sono ostacoli al loro sviluppo.
Se si evidenzia la loro presenza all’interno dei cunicoli scavati dai lombrichi il terreno sarà compatto o sarà presente una suola di lavorazione.
Infine in presenza di leguminose si consiglia di analizzare i tubercoli che danno un segno positivo di attività di azotofissazione quando evidenziano un contenuto rossastro quando vengono sezionati con una lametta.
Un altro fattore importante per la valutazione dello stato del terreno è la presenza di sostanza organica che dà informazioni sull’attività biologica del terreno (decomposizione dei residui, dei fertilizzanti, attività degli organismi terricoli). Se il terreno non è fertile a causa di scarsità di ossigeno o di acqua l’attività biologica sarà scarsa e quindi ci sarà poca sostanza organica.
Anche l’eccesso di acqua o il compattamento superficiale del terreno, che impedisce il passaggio dell’ossigeno, non giova alla produzione di sostanza organica la quale va in putrefazione per la presenza di microrganismi anaerobi.
Si può stimare la qualità della sostanza organica con la vista, con il tatto e con l’olfatto.
Il materiale interrato ovviamente si decomporrà più o meno velocemente in ragione delle sue caratteristiche: materiali lignificati come la paglia, che devono essere preventivamente sminuzzati, si decomporranno in 9-12 mesi; i residui poco lignificati invece come foglie o sovescio, hanno un periodo di decomposizione di 3-6 mesi.
Si ha un buon livello di decompostaggio quando il colore dei residui è scuro, l’odore è gradevole e i materiali non sono più distinguibili.
Un terreno fertile è ricco di fauna: in caso contrario sarà necessario capire e risolvere le cause di questa mancanza.
All’interno della categoria fauna sono distinguibili gli organismi dannosi come nottue e altri insetti, da quelli utili come ad esempio i lombrichi e quelli pronubi (che si nutrono di quelli dannosi).
Un terreno prospero di organismi è solitamente un terreno ben concimato (dove è facile reperire cibo per gli organismi), non inquinato da sostanze tossiche, con una buona struttura, possibilmente coperto da pacciamatura e lavorato poco spesso in modo vigoroso.
Il terreno può presentarsi alla vista più o meno scuro, questo dipende essenzialmente:
- dalla presenza di humus (colore marrone scuro);
- dagli ossidi di ferro (colore giallo/rosso);
- dagli ossidi di manganese (colore viola/nero);
- dai carbonati, solfati e cloruri (bianco).
Ovviamente anche l’acqua presente nel terreno ne influenza il colore: un terreno molto umido avrà tonalità più scure rispetto a un terreno asciutto.
Se nel terreno si notano tonalità grigio-verde-blu significa che il terreno è stato per molto tempo zuppo e ha ricevuto quindi poco ossigeno a indicare una presenza di ferro ridotto.
Macchie ocra/ruggine riguarda sempre il ferro in un terreno a periodi zuppo d’acqua e quindi periodicamente non ossigenato. Infine macchie nere o bianche indicano sempre un terreno poco ossigenato con conseguenze a carico del manganese (nere) o del carbonato di calcio (bianche).
Infine anche l’odore del terreno è fondamentale nella ricerca della presenza di organismi viventi, da ricercare però negli strati più profondi e meno aerati (sotto i 2 cm). In particolare se il profumo è gradevole (di bosco) probabilmente saranno presenti funghi (sintomo buono di vita); se al contrario l’odore è di marcio/muffa il terreno probabilmente sarà mal aerato e compatto; se non si riconosce nessun odore particolare invece sarà necessario agire per migliorare la fertilità del suolo e quindi la vita.
L’ultimo test che si può effettuare è la “prova della caduta”: si solleva la fetta del terreno e la si fa cadere dall’altezza di 1,5 metri su una superficie dura e piatta. In base alla reazione della zolla alla caduta sarà possibile trarre delle conclusioni: la terra infatti può semplicemente deformarsi o frantumarsi. Se dopo la caduta si nota la presenza di radici vive ancora intrappolate nel reticolo delle radici ad esempio queste saranno ben aggregate al terreno.
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