La razionalizzazione delle pratiche agronomiche, messa in atto ad iniziare dal secondo dopoguerra con l’obiettivo di incrementare il profitto (visto come unico scopo), ha condotto verso un’eccessiva semplificazione delle tecniche agronomiche, arrivando a snaturare completamente quello che per secoli è stato il compito ed il ruolo dell’agricoltura e dell’agricoltore: produrre cibo e tutelare il territorio ed il paesaggio.
I motivi e le cause di questa involuzione sono svariati. Tra i motivi principali vi è il crescente interesse da parte delle multinazionali, che vedono nell’agricoltura una grossa opportunità di guadagno.
Una delle altre cause risiede nell’estrema specializzazione delle scienze agrarie, con conseguente perdita di visione olistica (le principali unità di misura diventano quantitative).
E se un tempo l’animale aveva un’importanza fondamentale per quanto riguarda l’approvvigionamento del prezioso concime, con la diffusione e l’espansione della «moderna agricoltura» si assiste in maniera graduale alla completa scomparsa di ogni tipo di animale dalle campagne. Oggi la maggior parte delle aziende agricole che praticano la «moderna agricoltura» (o forse è meglio dire agricoltura industriale) sono prive di vacche, cavalli, pecore o altre forme animali.
Uno dei motivi risiede nel fatto che il concime, che un tempo era prodotto dalle vacche, oggi viene prodotto dall’industria e venduto in comodi sacchi all’agricoltore che poi lo distribuisce sui campi. Ma che differenza c’è tra un concime prodotto da un essere vivente ed un concime sintetizzato attraverso un processo industriale? Azoto organico e azoto di sintesi hanno le stesse qualità? La naturale biodiversità del suolo è maggiormente stimolata e favorita da concimi organici o da concimi di sintesi?
Dobbiamo porci queste domande perché non si tratta di essere nostalgici verso un mondo che non c’è più, ma perché è necessario valutare le conseguenze di certe azioni e di certe pratiche. La vacca si nutre già da sé con un elemento che è il risultato di un processo vitale e della fotosintesi. L’erba che poi diviene nutrimento è già di per sé il risultato dell’interazione di luce, calore, acqua e di tutti quei processi viventi che le permettono di crescere, compresa l’interazione con gli organismi del suolo.
A sua volta ciò che viene ingerito dal bovino passa attraverso quattro stomaci ed un intestino lungo una quarantina di metri. Questo percorso contribuisce alla vivificazione di questa materia organica, passando dal gradino vegetale a quello animale, sempre rimanendo in un contesto organico-vivente. La vacca dunque, con il suo calore ed il suo metabolismo (con la naturale ricchezza enzimatica e batterica di cui dispone all’interno del proprio intestino), contribuisce a vivificare ulteriormente la materia organica che ingerisce.
Si può dire che la vacca sia molto altruista poiché restituisce e dona alla natura sostanze ed elementi che sono di fatto fonte di vita e vitalità, trattenendo ben poco per sé. Va detto che non esiste altro essere vivente (o quasi) capace di fornire un elemento così importante per il terreno. Non è un caso se per secoli il letame vaccino, sotto varie forme, è stato alla base della concimazione.
E mentre il letame passa attraverso un processo vivente (nel senso più ampio del termine), con i concimi azotati inorganici invece avviene l’esatto contrario. La sintesi industriale di questi concimi inorganici rappresenta una vera e propria mortificazione. I più diffusi sono i concimi ammoniacali ricavati dalla riduzione diretta dell’azoto molecolare, a temperature di 1000 °C ed a pressioni di 200 bar. Oppure, nel caso dei concimi nitrici, questa sintesi avviene dall’ossidazione di azoto atmosferico (che è una forma non disponibile alla nutrizione delle piante) a temperature di 2700 °C utilizzando l’arco voltaico. Viene da chiedersi che fine faccia la vita sotto queste condizioni…
Già nel 1924 Rudolf Steiner intuisce che era necessario «portare vita al vivente» per contrastare il declino dell’agricoltura e la perdita di fertilità dei terreni. È fondamentale, quindi, rivalutare ruolo e funzione dell’animale all’interno della realtà agricola come fonte di vita. La gestione della vacca richiede comunque una certa organizzazione ed un certo impegno che non tutte le aziende riescono ad affrontare (soprattutto le realtà più piccole, oppure in ambito non professionale).
Vi è, tuttavia, un valido alleato dell’agricoltore, che lavora in silenzio, in grado di mantenere la fertilità del terreno garantendo la presenza «animale» e garantendo la funzione che un tempo era appunto delegata alla vacca. Questo essere è il lombrico, detto anche «mucca sotterranea».
Lo stesso Darwin era stupito dal fatto che questo insetto producesse terreno fertile, riportando in superficie dagli strati più profondi (fino a 30 cm) grossi quantitativi di sostanza. E durante questo salire in superficie, per poi ridiscendere, il lombrico scava gallerie nelle quali microrganismi aerobici trovano il proprio habitat ideale. Inumidimento, sminuzzamento, miscuglio e decomposizione sono le principali attività, nelle quali vengono mescolate e cementate da un muco proteico la parte minerale del terreno (o roccia madre), insieme alla parte organica (resti delle piante), formando un aggregato definito complesso argilla-humus.
Nel lombrico sono presenti delle ghiandole calcifere importantissime, responsabili della produzione di carbonato di calcio, che è un elemento fondamentale per la crescita delle piante. Contiene nell’intestino un’ampia popolazione di microrganismi coinvolta in numerose reazioni di decomposizione, tra cui batteri cellulosolitici, che favoriscono la demolizione della lettiera. Le deiezioni del lombrico rappresentano una fonte notevole di elementi nutritivi per il terreno.
Il lombrico necessita di umidità e della giusta temperatura (ricordo che il lombrico muore con il secco e non gradisce il freddo intenso e il caldo eccessivo). Molte e ripetute esperienze dirette hanno evidenziato che l’uso del preparato Fladen favorisce la presenza del lombrico nel suolo.
Questo piccolo animaletto è estremamente importante per il terreno, sia per l’azione nel ciclo del detrito che per la struttura (è notevole anche la quantità di biomassa). Si ciba di residui vegetali ed animali e, durante l’ingestione, assume notevoli quantità di microrganismi (batteri e funghi fondamentali per la biodiversità e per il tipo di «servizio ecologico» che forniscono), le cui spore, indigerite, vengono eliminate con le feci e distribuite in una vasta area. Vi è un aumento del carico microbico, sia di batteri che di attinomiceti, osservabile dall’attività microbica respiratoria presente nelle feci del lombrico.
La materia organica ingerita dal lombrico viene restituita in forma facilmente utilizzabile dalle piante. È possibile anche ottenere un ottimo fertilizzante, proveniente dall’intestino del lombrico, allestendo quello che può essere definito «allevamento di lombrichi», garantendo le condizioni ottimali per l’attività di questi animaletti. Il risultato è un humus soffice, colloidale, scuro, profumato ed umido, ricco di sostanze organiche, flora batterica (batteri non digeriti che proliferano facilmente in questo substrato e che contribuiscono all’umificazione della sostanza organica), vari microrganismi, auxine, enzimi, macro e micro elementi. Il suo rapporto in elementi è ricco, bilanciato e completo (azoto, fosforo, potassio, calcio e magnesio).
Questo humus, trasformato dal processo digestivo del lombrico, è un prodotto stabile ed equilibrato, ideale per la concimazione. È possibile ottenere questo humus impiegando anche i preparati biodinamici, allestendo appositi cumuli all’interno dei quali l’attività del lombrico viene esaltata ed amplificata. Questo humus inoltre migliora la condizione fisiologica della pianta e lo si può usare nei trapianti per favorire la radicazione, come fertilizzante, nella pasta per tronchi, nel bagno sementi o nella preparazione dei terricci per vasi e piantine da orto. La struttura stabile, che assume come conseguenza del processo di umificazione, ne impedisce il dilavamento; questo rende meno problematica la scelta del momento per la distribuzione.
Con i processi di sintesi industriali viene snaturato il ciclo dell’azoto, il ciclo del carbonio e tutti gli altri cicli e processi vitali che da milioni di anni sono alla base della vita e che sono fonte di vita (ciclo della sostanza organica e degli elementi nutritivi come fonte di fertilità, operato da batteri, micro e macro organismi).
Con la sintesi industriale l’azoto non passa più attraverso un processo vivente. Non vi è più la mediazione di un organismo vivente (vegetale e/o animale), ma vi è una sintesi al termine della quale si ottiene un prodotto completamente privo di vita e asettico (concimi ammoniacali e concimi nitrici).
Questi sali provocheranno un rigonfiamento ed un ingrossamento della pianta, per cui il profitto aumenterà, ma questa pianta non potrà diventare un alimento idoneo a sviluppare salute e coscienza. Inoltre i concimi di sintesi andranno a mortificare i processi biologici del suolo e la naturale attività svolta dagli organismi terricoli.
Mentre con la fertilizzazione organica (compost, sovesci) aumenta la biodiversità del suolo (batteri, funghi, protozoi, alghe, macro organismi), favorendo una maggiore decomposizione della sostanza organica, la costruzione di humus stabile ed una migliore disponibilità di sostanze nutritive. Batteri, attinomiceti e funghi decompongono i residui vegetali; li trasformano e producono sostanze particolari (elementi nutritivi, sostanze cementanti, antibiotici, ecc.), che rendono più stabile la struttura del suolo, contrastando l’erosione e il dilavamento.
Gli elementi nutritivi fortemente legati vengono poi solubilizzati e resi disponibili per la nutrizione delle piante, grazie a micorrize, funghi e batteri che vivono in simbiosi con le radici. L’esaltazione dei processi organici migliora l’efficienza energetica e riduce di molto l’impatto ambientale favorendo la conservazione del suolo.
«Se si continuerà a concimare con concimi minerali allora i vostri figli e i figli dei vostri figli cresceranno molto pallidi. Le facce non si potranno distinguere dalle mani tanto saranno bianche. Dipende dai campi bene concimati se essi possono avere un colorito vivace e sano» (Rudolf Steiner, 1924).
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