di Luca Michieletto
L’acqua è l’elemento che, insieme agli altri composti organici, rende possibile la vita sul nostro pianeta. La sua gestione è straordinariamente importante. L’acqua è uno dei costituenti principali degli organismi viventi e pertanto dev’essere tenuta in degna considerazione nel momento in cui si voglia progettare, rivedere o migliorare la gestione dei terreni coltivati.
La qualità dell’acqua è fondamentale
Secondo molti e diversi approcci al modo di coltivare, vi sono metodi precisi per migliorare la qualità dell’acqua disponibile ma, per ragioni di spazi e metodologiche, rinviamo il lettore ad un personale approfondimento. Dovremmo, comunque, tutti quanti poter disporre di acqua buona e sana. Questo, purtroppo, non è assolutamente scontato dato il bassissimo rispetto di questa importantissima risorsa che il modo di vivere passato ed attuale hanno avuto e stanno avendo.
La prima cosa da fare, quindi, è valutare la qualità della risorsa idrica a disposizione partendo dall’analisi della fonte, ovvero se esclusivamente piovana, se derivata da canali e fossi prossimi ai terreni, oppure se estratta direttamente dal suolo e a quale profondità.
Dovremmo evitare di utilizzare acqua di cui non conosciamo chiaramente la provenienza o non conosciamo le immissioni che vengono fatte a monte del nostro prelievo, sia per ragioni di natura chimica (presenza di inquinanti come metalli pesanti, solventi, pesticidi) sia per ragioni di natura biologica (scarichi di allevamenti, centri abitati e altro).
È pertanto consigliato effettuare opportuni accertamenti al fine di conoscerne la qualità e poter intervenire di conseguenza al fine di utilizzare acqua che non danneggi la salute delle persone che consumano i nostri prodotti e, in questo caso secondariamente, la vitalità del nostro terreno.
L’utilizzo della risorsa idrica
Il coltivatore si deve ispirare all’utilizzo della risorsa con la massima efficienza, evitando cioè di distribuire enormi masse d’acqua rispetto alle reali necessità del terreno e della cultura. In questo caso, al di là ad esempio della coltivazione del riso che è una coltura tradizionale e negli ultimi anni ha comunque notevolmente ridotto la richiesta d’acqua, ci si riferisce a coltivazioni come, ad esempio, il mais nelle quali l’acqua viene data «a pioggia» o, peggio ancora, «per scorrimento» utilizzando quantità assolutamente sproporzionate rispetto al risultato finale.
Ciò accade perché molta acqua distribuita viene sprecata per ruscellamento o perché supera la capacità del terreno di accumulo, dato che generalmente il terreno è stato reso sterile dalla monocoltura e quindi con poca capacità di trattenerla.
Come renderne l’utilizzo efficiente ed efficace
Esistono dei sistemi che devono essere attivati in diversi momenti al fine di proteggere questa risorsa. In primo luogo la sistemazione e lavorazione dei terreni devono essere realizzate in modo tale da consentire un buon drenaggio delle acque meteoriche (la vecchia sistemazione a schiena d’asino continua ad essere tra le migliori) ed una parallela buona capacità di accumulo delle stesse (lavorazioni a doppio strato che favoriscono lo sviluppo di un buon volume di terreno vitale ed in grado di immagazzinare acqua e contemporaneamente permettano gli scambi gassosi utili a mantenere l’ossigenazione dell’apparato radicale).
Dove opportuno sarà necessario intervenire con strumenti (esempio aratro talpa) che creino adeguate canalizzazioni al fine di favorire lo sgrondo delle acque in eccesso. Per ogni coltura deve essere individuato il miglior metodo di irrigazione il quale deve sfruttare al meglio le innovazioni meccaniche disponibili per distribuire la corretta quantità di acqua utile ai vegetali.
Si passa infatti dall’utilizzo di strumenti per l’irrigazione a pioggia che, con portate e pressioni diverse, garantiscono un ottimo rapporto tra il costo dello strumento stesso e la riduzione del volume d’acqua distribuito rispetto a medesimi sistemi introdotti qualche decennio fa (i cosiddetti «rotoloni»), fino all’utilizzo di tubazioni che distribuiscono l’acqua direttamente sulle file con dei piccoli forellini oppure attraverso dei piccoli getti in grado di distribuire bassissime quantità d’acqua.
Allo stesso modo è opportuno attivare delle pratiche per ridurre le perdite d’acqua per evaporazione, utilizzando metodiche come la pacciamatura (in materiali plastici, carta o paglia, ad esempio) e le lavorazioni utili a rompere la capillarità dell’acqua negli strati superficiali (sarchiature).
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