Che cosa sono le Piante alimurgiche
Piante spontanee, perenni e non, conosciute fin dall’antichità, da raccogliere autonomamente nei campi e da utilizzare in cucina per riscoprire sapori di un tempo.
Avete mia sentito parlare delle piante alimurgiche?
Sicuramente le avete viste però, e magari anche mangiate, in qualche piatto la domenica dalla nonna.
Perché queste piante, chiamate anche spesso fitoalimurgiche, sono in realtà delle erbacee spontanee commestibili, che vengono raccolte, a fini mangerecci, la cui coltura e cultura, risale fin dai tempi antichi.
Ortica, tarassaco, piantaggine… ne erano pieni i prati e ancora adesso, permangono in scampoli di campagna al limite delle zone urbane.
Chi le conosce, si aggira con sacchetti e taglierino, per raccogliere e poi cucinare le prelibatezze di sapori che furono.
I posti migliori per raccogliere queste erbe spontanee sono i campi abbandonati, gli argini dei fossi, i boschi o le rive dei ruscelli.
Raggruppate per famiglie, le piante alimurgiche, dal greco phytón = pianta e dal latino alimenta urgentia = alimentazione in caso di necessità, urgenza alimentare, sono conosciute il più delle volte non con il nome ufficiale, ma più spesso con l’indicazione in dialetto, che varia da regione a regione.
Come raccogliere le piante alimurgiche
La raccolta non è sempre semplice: perché non tutte le piante sono interamente commestibili.
A volte solo il fusto, a volte i germogli, altre i fiori, le radici o i tuberi, che vanno raccolti e consumati freschi.
Bisogna saper riconoscere i vari stadi di crescita, in modo da sapere con precisione qual è il periodo adatto per la raccolta.
Di solito la parte buona è quella più giovane, poiché invecchiando con il tempo, le piante diventano quasi tutte più fibrose e quindi più difficili da mangiare, anche perché perdono buona parte del sapore.
Alcune specie di piante alimurgiche
Tra le piante alimurgiche più famose, troviamo la Borragine, che in realtà fa parte della famiglia delle Boraginaceae, che riuniscono circa 1600 specie diffuse in tutte le regioni temperate e calde, rappresentate il più delle volte da erbe e arbusti, come l’echium, o l’anchusa.
O ancora, tra le alimurgiche, ecco la Pilosella, la cicoria o tarassaco, che fanno parte della famiglia delle Asteracee, note anche come Compositae, delle piante dicotiledoni, che presentano generalmente un fiore solo.
Molto comuni nell’alimentazione italiana, a questo genere appartengono anche quasi tutte le insalate che mangiamo: catalogna, cicoria, radicchio e indivia, ma anche girasoli e topinambur.
Tutti caratterizzati da sapore amarognolo e dall’alto potere disintossicante e anticolesterolo, oltre che in cucina, sono ampiamente utilizzati in fitoterapia.
Anche l’ortica, come accennato sopra, fa parte delle piante alimurgiche.
Della famiglia delle urticacee, da tutti è conosciuta proprio per il suo potere urticante, che si sprigiona dai peletti allargati che si trovano alla base e che contengono un acido, che esce dalla punta spezzata, che punge al minimo contatto.
Comunissima in pianura e in zone collinari e montane fino ai 2000- 2400 metri, è presente in campi e lungo le strade, in luoghi ombreggiati e terreni abbastanza fertili.
Ed infine l’asparago selvatico. Molto ricercato per frittate e torte salate, in realtà il suo nome vero è Asparagus acutifolius, della famiglia delle liliacee.
Chiamato anche Asparagina, cresce spontaneamente in zone incolte e a ridosso di siepi e strade, in zone collinari e pianeggianti.
In realtà è una specie perenne, rampicante, che presenta un rizoma sotterraneo dal quale durante il periodo primaverile, si diramano i germogli, chiamati turioni.
Da non confondere con i Bruscandoli, altra prelibatezza, molto utilizzata in cucina per risotti e manicaretti della tradizione.
Chiamati anche Humulus lupulus, perché vengono individuati come getti apicali del luppolo selvatico, i bruscandoli sono delle piante perenni che vengono chiamati in modo differente a seconda della regione e del dialetto.
Si raccolgono in primavera e presentano un rizoma ramificato, in grado di raggiungere anche altezze notevoli.
A differenza dei classici germogli utilizzati solitamente in cucina, i getti di luppolo selvatico sono tanto più gustosi, quanto più sono grossi.
Per la raccolta bisogna fare attenzione alle somiglianze: controllare bene il fogliame e la forma dei germogli, in quanto i rami fioriferi sono assimilabili spesso ad altre piante come l’Ornithogalum o Latte di gallina, che è anche una varietà tossica.
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